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Profumo di soffritto

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Sono le otto del mattino. Sono arrivata a casa di mamma e sto aspettando che si svegli. Ed io pure, che sto ancora dormendo in piedi. In cucina la finestra è aperta e il silenzio tranquillo della domenica mattina mi aiuta ad aprire gli occhi. Preparo le medicine, il caffellatte... insomma la routine delle mie domeniche da qualche anno. L'aria fresca di settembre mi porta il profumo di qualcosa di mangereccio: il soffritto per l'arrosto della signora Brambilla. Qualche mamma è già all'opera, silenziosa. Famiglie. In questo caseggiato ci conosciamo tutti, noi figli ci siamo visti crescere, i babbi e le mamme invecchiare, qualcuno ci ha già lasciato. Qualcuno sta lottando con la vita, il carovita, il...girovita. Ci si vive accanto insomma, da qualche decennio. E così, dietro questo profumo di soffritto domenicale intuisco voci, frasi, gesti, cure, preoccupazioni. 
Dalla mia infanzia non ricordo anni facili ma niente di terribile. La vita che noi chiamiamo "normale" con i suoi alti e bassi, tra famiglie vicine, la solidarietà di piccoli gesti, neanche troppo, per carità. Siamo a Milano, e qui si bussa al vicino solo se proprio non puoi farne a meno. Ma, a dispetto di quel che purtroppo si dice, qui siamo capaci di essere davvero accoglienti. Solo che lo facciamo come pensando ad altro, sembriamo scocciati, ma non è così. È che si pensa al fatto che non può bastare, che bisogna organizzare meglio, che una goccia non riempie il mare del bisogno. Qui, nella storia di questa ruvida città, sono sorte opere di carità di tutte le specie e misure. Non è vero che i milanesi pensano solo a lavorare, è che anche la solidarietà per funzionare ci deve diventare come un lavoro. Così pare che si perda quel calore umano di cui tanti ci lamentano il difetto. Il milanese non è caldo, è "operativo ciumbia!". Va bè, prendeteci come siamo, perché comunque la nostra parte la facciamo. E adesso, anche adesso occorre che si faccia, perché a noi non ci piace veder morire le creature in mare. Sulla spiaggia i "fiulit" devono giocare con paletta e secchiello e non essere raccattati come conchiglie rotte. Ma siamo ancora addormentati e pensiamo ad altro, come se aspettassimo anche noi che qualcun altro si occupi del problema. Distratti e addormentati. Per fortuna C'è chi ha la bontà di tirarci la giacchetta, c'è un cardinale che dice di aprire gli oratori, di far venire anche qui un po' di quelle famiglie che stanno scappando dalla guerra, così da farli sentire un po' come a casa e farli svegliare la domenica mattina con il profumo del soffritto, che è un po' come il profumo della pace. È una goccia nel mare? Intanto fai questo che poi ci si organizza "ué raga, operativi neh!"

El dutur ch'el cantava

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Bè...mi ritrovo qui a caragnare come una scema che l'ultima volta è stato solo per mio padre, quando è mancato.
Si dice 'mancato' quando uno muore, sì perchè ti manca, ti manca qualcuno...ma anche qualcosa. Ecco, il dottor Vincenzo Jannacci è mancato, ma com'è che ti manca una persona che non ci hai nemmeno mai parlato, neanche per dirci un 'buonasera' toh?
E' che quando sento certe canzoni, certa musica di certi signori tipo lui o del suo amico fratello Giorgio...bè io sento l'odore di una certa Milano, una città che ogni tanto vado a ricercare, ad annusare con la scusa di fare qualche commissione in giro.

 Andavo per Milano col mio nonno...a pè...o 'ciapum el tram và che ti te set piscinina e mi paghi no perchè fasevi el cuntrulur'. E allora su...sul tram con le panche di legno e il campanello al posto del clacson, che mica si suonava con le mani poi... no coi pè...giù i bei pestoni del manovratore che quando si incazzava con una macchina per traverso eran dolori al tallone!
E c'era caso che qualche volta ci trovassimo anche il papà sul predellino del bigliettaio 'duve te vet?' col nonno!
Giri interminabili per andare a cercare quella tal cosa che alla drogheria 'Ferrari risparmio' ci hanno 'dumà lì' e via verso corso Garibaldi...a pè, nel senso di... a piedi.
Ricordo le scarpe strette e quel profumo immenso di drogheria, di catrame, di nebbia e di gente al lavoro.
Frec, nebia...rigorosamente pronunciata con la e molto larga mi raccomando, ùmid che entra nelle ossa, vedi all'angolo un barbone e il nonno inizia a fischiettare 'el purtava i scarp del tenis'. Io ero piccola ma lo conoscevo bene 'el stradun ch'el purtava a l'idroscalo'...ci ho trascorso la mia infanzia al Forlanini! E mi sembrava ridicolo sentirlo cantare alla radio da quel signore un po' strano che faceva così ridere, ci piaceva anche alla mia mamma che le canzonette non le ha mai digerite, lei che soltanto l'opera è musica!
Milano dicevo. Il colore è il grigio, con tante sfumature va bè ma... grigio.
Nei miei ricordi una città in bianco e nero come la fotografia in prima pagina del Corriere... no, del Giorno, che quello era il giornale preferito del nonno. C'erano quelli che compravano il 'Corriere' e quelli del 'Giorno' un po' come Milan e Inter. C'erano quelli che ci piaceva l'opera e quelli delle canzonette ma Gaber e Jannacci no.
Quelli piacevano a tutti perchè cantavano del tuo amico del bar o del pirla che non sa neanche fare il delinquente, che quando li vedevi alla televisione sembrava fossero i tuoi vicini di casa capitati lì per caso di fianco alla Mina. E cantavano in milanese, ma che si capisce anche a Palermo, così sentono che mica ci abbiamo tutti la puzza sotto il naso qui nella nebbia.
Che siam poveri cristi anche noi e che sarà pure grigia e piena di smog la nostra città ma il profumo lo senti lo stesso, è un profumo di cose che neanche tu sapevi di esserti affezionato, tanto che quando muore il tipo che le cantava...bè...ti senti un po' anche tu sciopare il cuore perchè ti manca.


I re Magi a Milano

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Che il viaggio fosse lungo lo sapevano....ma che arrivassero anche a casa mia...è davvero un regalo.
Buona Epifania!!

affezione

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Che bella la mia città quando c'è il sole!
Sì, è come una bella signora sempre imbronciata, che non si ferma mai, e mai una parola gentile, un po' di calore umano... ma quando tira su la testa e sorride, e non se ne accorge... il sole le illumina gli occhi. Un po' di rughe le ha, si vedono.
Un carattere scontroso ce l'ha e spesso hai voglia di scappare.
Ma com'è bella quando la guardi e basta, quando ricordi quello che hai fatto con lei, quando c'era più tempo da perdere, e fare gli egoisti era quasi permesso di diritto.
Ora viaggio con il naso all'insù, sulle facciate dei palazzi il sole squilla i colori, sì, anche qui. Si è tolta il vestito grigio, quello che mette in ufficio, indossa un abito leggero, anche se siamo alla fine di ottobre. Giallo ocra, verde e rosso mattone, inforca la bicicletta, quella con i freni a bacchetta, quella che arrugginiva in cantina, e si prende il tempo di guardare le vetrine, di entrare nei negozi e giocare a provarsi i cappelli; proprio come faceva quando bigiava le lezioni e scappava sul corso con le amiche, a parlare di vestiti, ragazzi e canzoni.
Com'è bella Milano quando si prende una vacanza da sè stessa!!
Per favore, amatela un po' anche voi....
ciao ciao



'El mé Milan'

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Oggi ho fatto la turista nella mia città. Che bella sensazione! E' stato come fermarsi a guardare più da vicino, con tenerezza e stupito silenzio, il viso di un amico che eri sicuro di conoscere bene.
Mi piace camminare per il centro, sempre mi capita di farlo un po' trafelata, da... milanese appunto, ma anche così mi piace, tanto.
Oggi ho passeggiato, lentamente. L'occasione è stata la richiesta di un'amica che deve fare l'esame per guida turistica. E ha chiesto a me... che ridere! L'unica mia credenziale? L'amore incondizionato per la mia Milano.
Allora: Duomo!
Lo sapevate che per terra sul sagrato c'è disegnato il perimetro dell'antico battistero dove ha ricevuto il primo sacramento S. Agostino?
Lo sapevate che all'ingresso del Duomo c'è la meridiana con i segni zodiacali?
Lo sapevate che il numero delle colonne è esattamente uguale a quello delle settimane che ci sono in un anno?
Lo sapevate che la lucina rossa piccola piccola là in alto sopra l'abside indica la reliquia del Santo Chiodo della Croce? E... santo bisogno cattolico degli uomini di avere dei segni tangibili per appoggiare la vita tanto da moltiplicare anche il numero dei chiodi della croce.... quanti se ne contano in giro per la cristianità? Quante braccia e gambe avrebbe dovuto avere Cristo?
E l'uso della 'Nivola' per andare a prendere la reliquia durante la festa dell'Esaltazione della croce?
E sapevate che a Milano c'erano il circo, l'anfiteatro, le terme e il palazzo imperiale?
E sapevate che l'anfiteatro non c'è più perchè i milanesi stessi l'hanno demolito per difendere la città dai barbari e che un po' di quelle pietre adesso si chiamano S. Lorenzo alle Colonne?
Lo sapevate che la facciata del Duomo è stata costruita anche grazie all'impegno di gruppetti di giovani che andavano in giro per la città a raccogliere soldi cantando e ballando?
Lo sapevate che il simbolo della città non è sempre stato il 'biscione' e che il nome 'Milano' non è proprio detto che derivi da Mediolanum... e che una traccia di questo mistero si può trovare nella bellissima piazza Mercanti?
Potrei organizzarvi una caccia al tesoro!!
Oggi ho visto famiglie di turisti stranieri che si aggiravano per la mia città. Non erano qui per 'lavurà', non erano qui per 'affari' e neanche per la moda... erano qui per vedere qualcosa di bello.
Allora mi sono messa in mezzo alla piazza, proprio di fronte al Duomo, ho tirato su il naso, mi sono riempita gli occhi di una cosa che conosco come la faccia di mia madre, e ho fatto la mia ennesima dichiarazione d'amore a quella bellezza di marmo, bella sotto il sole, bella di notte e bella anche nella nebbia. Noi milanesi siamo così, frettolosi e poco simpatici magari, ma sotto sotto innamoratissimi della nostra città.

...anni fa (3)

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Arriva prima il sorriso. Di certe persone arriva prima il sorriso, poi ti accorgi del resto, ma solo perchè c’è quella luce che rischiara.
 Capelli arruffati e color della cenere, occhi nerissimi, accesi, due carboncini ardenti che... stai attenta perchè ti possono scottare!
Sorriso limpido e sempre pronto, lì, agli angoli della bocca, ma non regalato inutilmente... bello insomma. Lorenzo era così, la semplicità della parola: bellezza.
Un’occhiata: Anna e Daniela avevano già capito. Un istante. Mentre per Elena ci sarebbe voluto ancora del tempo, avrebbe riconosciuto e, forse, accettato.
‘Finalmente Elena! Mi fai incontrare le tue famose amiche del cuore!’
‘Scemo! Non so quante volte l’ho invitato, ma lui fa sempre il prezioso, con tutti i suoi impegni da intellettuale!’
‘Dai, tagliamo corto! Io sono Lorenzo, amicissimo di Elena daaa... l’asilo forse?!’
E lo dice piegando un po’ le ginocchia, guardando Elena da sotto le ciglia.
‘E come mai allora non ci siamo conosciuti prima?’ domanda Daniela come chi si accorge vagamente di un’occasione perduta.
‘Bè, per alcuni anni ci siamo trasferiti a causa del lavoro di mio padre. Abbiamo girato un sacco, poi siamo tornati e siamo andati via di nuovo. Un casino insomma. Ma adesso mi sono imposto, e l’università me la faccio tutta qui, loro vadano dove vogliono adesso...’
‘Che studi?’
‘Non hai visto la sua testa quadrata? Non poteva che fare ingegneria!’
‘Bisogna sfatare questo mito degli ingegneri 'rigidoni'...! Io ho una mente flessibile e duttile!’
Che anni quegli anni!
Se gliel’avessero chiesto avrebbero detto senz’ombra di dubbio: ‘non moriremo mai’.
Eppure così incerti, sempre con quella sensazione di essere sui blocchi di partenza... e non partire mai.
Aspettare con ansia lo sparo del via, mani sudate e muscoli tesi allo scatto.
Guardarsi intorno e vedere gli altri, strano, tutti gli altri, rivolti ad una diversa direzione, convinti, certi, che fosse quella giusta. Fino a che non avessero alzato lo sguardo, interrogandosi in silenzio: ‘ma perchè di là?’
Forse speravano che, come  passando  un archetto sulle lettere sparse dell’alfabeto magicamente appare una parola, per divinazione avrebbero letto negli occhi di qualcosa o, meglio qualcuno, il nome della loro prossima felicità.
No, certe debolezze erano ormai solo il rumore della risacca di una adolescenza ancora troppo vicina.
Qualcuno di loro aveva già la presunzione di aver capito. Occhio di falco prendeva la mira e presto, molto presto si sarebbe sperato, avrebbe scoccato le frecce dei sogni per correre e sudare sull’asfalto della vita reale.
Lì, su quell’asfalto, al caldo torrido del dolore, bevendo alla sorgente della libertà, si sarebbero sciolte le presunzioni per lasciar posto alle umili certezze da uomini veri.
Ma adesso era tempo di andare a mangiare gelati, era tempo di libri e parole usate come trampolini di lancio. Troppo pieni ancora di discorsi, così meravigliosamente svegli di attesa.
Eppure il tempo, qualcuno di loro l’aveva già sentito mordere.

 I giorni passano, le settimane, i mesi. Sembra sempre tutto uguale, i giorni come i granelli di sabbia nella clessidra: puoi lasciarli scivolare dalla fessura della tua vita senza muovere un muscolo, oppure decidere che li prendi in mano e ci lavori sopra. Ma per lavorare ci vuole una spinta, un progetto. Per lanciare frecce devi individuare l’obiettivo.

Di solito si trovavano in gelateria, quella vicino ai giardinetti. Un cono e poi la panchina. D’inverno c’era la cioccolata a casa di Elena. La discoteca era una cosa per chi aveva soldi e poca voglia di parole. Per ballare, scatenarsi e... qualcos'altro, c'erano le feste popolari, le cantine e i garage dove suonavano gli amici, oppure, se avevi il colpo di fortuna di qualche soldo in tasca, i concerti allo stadio, o una serata in qualche birreria sul Naviglio, quando la zona non aveva ancora perso la sua natura genuina per diventare spocchiosa e  'sciatto-scic'.
A Maggio c’è già aria d’estate, se il tempo è d’accordo, e la panchina non è ancora occupata dalla coppietta di turno.
Ci sono i ragazzini col pallone, ma le urla non danno fastidio. Le finestre aperte lasciano sfuggire le note di qualche sigla alla tv: giochi senza frontiere, che interessa solo alle nonne e ai nipoti più piccoli. La vita è fuori... forse. Strade di un quartiere popolare.
‘Che c’è Elena?’
‘Mi manca mia madre’
‘Mi spiace, davvero, manca a tutti noi, ma per te ...’
Tanto studio, tanti discorsi che ti piace declamare per fare l’intellettuale... e poi quando ti servono davvero le parole, fai la figura del pirla...
‘No, non è che mi manca in quel senso.... non so, quasi mi vergogno a dirlo... mi manca perchè adesso devo pensare a tutto io. Mio fratello non ha ancora realizzato, certe volte mi sembra così irresponsabile... così.... fuori. Nelle cose banali, mi manca nelle cose banali: lavare, stirare, fare la spesa, far quadrare i conti.’
Le cose ‘banali’ sono la vita, ma era un’età in cui la vita sembrava ancora e solo quella stampata sui libri.
‘Sai una cosa Elena?’
Lorenzo si guarda la punta delle scarpe, sempre si guardava la punta delle scarpe quando parlava seriamente; e le parole uscivano piano, come andandole a cercare sotto le suole.. era buffo, serio, ma buffo.
‘Un mio amico mi ha detto un giorno che non c’è niente di banale, perchè il significato della vita o sta dentro anche il più piccolo filo d’erba, oppure non hanno significato neppure il mare e il cielo’
Silenzio.
Nessuno ha più voglia di ridere. Non che siano parole tristi... è che ci devi pensare a certe cose. Devi dargli tempo di entrare dalle orecchie, fare il loro percorso fino alla mente, farle masticare dal cuore per saggiarne il grado di verità.
Perciò: silenzio.
‘Si, Lorenzo, tu dici bene, forse. Ma io questo significato non l’ho mica ancora trovato neppure nel mare e nel cielo... figurati se lo trovo nel mucchio di roba di mio fratello da stirare! Mentre lui va in giro con gli amici e se ne frega e io neppure ho il tempo di studiare... io ci trovo solo nervoso e impazienza!’



le pallottole di quegli anni

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Sto leggendo un libro. Il libro di un figlio che parla di suo padre.
Mario Calabresi 'Spingendo la notte più in là'. Bravo giornalista il Mario Calabresi, figlio di un bravo commissario, morto ammazzato.
Sto ripassando da quegli anni, quando Milano, la mia Milano da ragazzina, era la città grigia nelle cui strade grigie, grigi ragazzini giocavano a fare la guerra.
Gli anni '70 a Milano, io crescevo a ritmo di marcia, minacce politiche sui muri, cantilene urlate nei cortei, ostinate quanto surreali certezze dichiarate dal piombo dei giornali... perchè anche l'inchiostro dei giornali, quasi tutti, puzzava della stessa violenza delle pallottole.
Ragazzini, compagni di scuola che dichiaravano con sprezzante e idiota spavalderia il possesso di spranghe e pistole, pensando di poterti conquistare all'idea.
Ricordo una risposta: 'Idiota, non sai neanche inventarti parole tue, devi farti imboccare il cervello da altri'.
Cosa ne potevo ricevere se non l'etichetta di 'Fascista'? Curiosa situazione: mio nonno contava  orgoglioso i bicchieri di olio di ricino a cui l'avevano costretto, il suo che conservava ancora nel baule la camicia nera!
'Fascista' è diventata una parola vuota: masticata, disossata e spolpata proprio da chi voleva farci la lezione.
Comunque a Milano, in certi giorni, per certe strade non ci potevi passare.
Ricordo quella mattina, a studiare a casa di Rosella... 'mamma, sto arrivando'.
Per fare quattro chilometri ... mezza giornata di tram, e dal fondo del viale vedi alzarsi il fumo grigio, senti le sirene dei celerini... no, sono ambulanze. Mica c'erano i cellulari!
Torno a casa alle quattro e trovo una madre angosciata... 'si sono ammazzati ancora, e tu dov'eri?'
Giornalisti che sputavano sentenze sopra comode e ben pagate firme. Mentre ragazzini a mano armata mettevano in pratica le teorie di quegli irresponsabili borghesi, alla corte di Mangiafuoco.
Crescere in quegli anni volendo mantenere il cervello libero voleva dire essere fortunati. Essere fortunati in quegli anni voleva dire trovare maestri di vita, liberi e capaci di chiamare le cose con il loro nome, e soprattutto disposti a giocarci la faccia.
Un pensiero lo ricordo bene, una domanda ostinata, un desiderio che avrei scritto sui muri, sì, anch'io... sui muri: 'cosa è bene e cosa è male? cos'è la verità? cosa la giustizia, l'amore, la vita vera?'
E ti accorgevi che solo queste erano le vere pallottole da sparare.
La Revolution è il desiderio del cuore e della mente libera.
Un bel giorno ho incontrato chi mi ha presa sul serio, ed ho smesso di sentirmi un' extraterrestre in piazza del Duomo.
C'era e c'è ancora chi si tira fuori dal gioco vomitando la sua cinica saggezza sulle domande dell'adolescenza, c'era e c'è ancora chi le usa per piombare la vita di altri uomini... ma forse, certo, perchè non ha il coraggio di vivere la propria.
Milano anni '70, la mia città.

ricordi

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Il suono del pianoforte è uno dei primi ricordi che ho. Non roba da grande concerto, no, quelle melodie un po' ripetitive e abbastanza noiose che sono gli studi... a meno che non si tratti di Chopin che allora gli studi vanno bene anche per una serata al Conservatorio...
Roba casalinga, che sa di sudore ed esercizio, di testa china e mani doloranti.
Interminabili scale, melodie ripetute, interrotte, riprese. Io giocavo sul pianerottolo, all'ultimo piano di una vecchia casa nel centro storico, vicino alla scuola di musica, dove aveva studiato anche mamma.
Non ricordo molto, solo che quando attaccava il pianoforte io mi fermavo, qualsiasi cosa facessi, mi fermavo. Era un mistero allora, da dove venisse quel suono non lo sapevo ancora, forse me l'avevano spiegato, ma ero ancora troppo piccola.
I tetti di Milano e la musica del pianoforte, questa è per me la poesia della mia città. forse non è granchè, ma ogni volta che sento un pianoforte suonare io mi fermo, qualsiasi cosa stia facendo, mi fermo, chiudo gli occhi e ascolto.



la mia città

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Ci sono cose che sono belle nei tuoi occhi, e l'indifferenza degli altri non ti ferisce perchè sai che non sanno. Non sanno le strade, non sanno gli angoli, non sanno di quella risata, di quella chiacchierata durata tutta la notte lì, vedi? Lì a quell'angolo, con il tram che passava e ripassava, vuoto, fino a che non è ripassato più... e neanche lui. Non sanno di quella serata là  rimasta come un fermo immagine durato una vita, di quella finestra sempre illuminata.
Non sanno della mano del tuo nonno che ti guidava, a piedi, per strade indaffarate e ti spiegava 'qui ho conosciuto la tua nonna, là c'era la casa di ringhiera dove è nato tuo padre' e ti sembra di vederli ancora, sempre di corsa, sempre con la battuta sagace, quel dialetto un po' 'bauscia' e un po' cordiale, ruvidi ma capaci di amicizia, tra quelle case grigie, che quando c'è il sole sanno anche essere belle.
La mia città, non piace a molti, forse a nessuno. Ma ci sono segreti antichi anche qui, ben nascosti, quasi si vergognasse, perchè si vergogna, di essere sentimentale.
Devi andarteli a cercare gli angoli dove puoi sentire ancora l'eco di una voce calda, tra clacson assordanti e fretta e indifferenza, ma quando li hai trovati te li custodisci come perle.
E' difficile credere che dietro il muro della Breda, all'angolo del deposito dei tram, accanto all'officina o sotto gli uffici della Popolare si possa sentire qualcosa che assomiglia alla nostalgia... ma vi assicuro, la mia città è bella.