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...in ciel arder le stelle...
Non so com'è ma alzo la testa e mi affaccio al cielo, le stelle. Non molte a dire la verità, giusto quelle consentite dalla elettricità cittadina e dal ritaglio di cobalto fra i tetti.
Stelle.
Piccole e ammiccanti.
Forse, a suo modo, un milanese può comprendere per un infinitesimo di secondo la sorpresa che potrebbe aver avuto il primo uomo che le ha guardate un po' bene.
Lasciarsi catturare dalle stelle qui è una rarità.
Perciò quando succede può somigliare a qualcosa di nuovo.
Possibile che scopriamo anche noi di non aver ancora annullato, come il biglietto del tram, la nostra umanità.
La stanchezza a volte è generosa, non lascia scampo a pensieri superflui, o trova il suo riposo o lascia perdere, che tanto di Leopardi ce ne basta uno... quello vero. A noi milanesi piace mica tanto scimmiottare i poeti. Bauscia e ganasa sì, ma qui si preferisce esserlo senza tanta letteratura.
Solo un contraccolpo, forse lieve, ma sincero, mi ha fermata con il naso in su e le chiavi mezze infilate nel cancello di casa.
Come devono aver guardato le stelle Abramo, gli Atzechi, Ulisse, Dante oppure lo stesso Giacomo?
Forse un po' lo so. E, senza paura di essere presuntuosa, proprio per quel piccolo contraccolpo.
Ho provato a guardare lasciando perdere quel poco che già so su stelle, pianeti e compagnia bella, e cosa è venuto fuori?
"Mistero" è la parola.
Però è strano. E' proprio strano perchè se guardo le stelle pensando a quello che già so l'impressione è quella di timbrare il famoso biglietto e... ciao, fine della storia, eccomi di nuovo sul tram in questo viaggio solitario nella mia stanchezza.
Mentre subito dopo aver pronunciato quella parola un po' fuori moda, Mistero, ecco che mi ritrovo a fare un viaggio in compagnia.
Insomma non è che sapere già tutto e avere in mano la definizione delle cose ti rende più sicuro e meno solo e bello riposato.
Sai cosa ti dico? Azzardo: la vera possibilità di risposta alla tua solitudine è lì, nello spazio che lasci al mistero che c'è dentro a tutte le cose.
C'è qualcuno, qualcosa che ti fa l'occhiolino e... cribbio... mica ti lascia tranquillo a guardarti l'ombelico nella tua olimpica e solitaria stanchezza!
Mah... di più non mi viene, Leopardi, Dante e Abramo e soci l'hanno detto meglio, io mi accontento di dare loro ragione, e poi sono stanca morta... ma vado a dormire in buona compagnia.... che dici?!
nottenotte
Memoria
Le parole non sono mica cose impalpabili. Questa per esempio è bella pesante, di luce e di ombra. Tanto pesante che non è affatto facile pronunciarla a cuor leggero: memoria.
Memoria di cosa?
Memoria di un male fatto?
Sarebbe ancora troppo facile, troppo comodo... accomodante per noi tutti. A volte ci si siede sul passato come su una comoda poltrona... 'ecco fatto'...'è successo' 'passato' appunto... celebrazione e stop... coscienza immacolata.
Ma quello che è successo non è poi così distante nel tempo, non è poi così distante nello spazio... oggi, qui.
Memoria di un male che è troppo facile da incontrare, e soprattutto, troppo facile da fare. Una canzone che conosco recita 'non è difficile essere come loro'.
Ecco, a me sembra che non faccio davvero memoria fino a che non arrivo a capire che io, io stessa sono capace di fare del male. Sensi di colpa? No, solo realismo: vorrei fare bene ma mica ci riesco, inutile stare qui a prendersi in giro!
Ho visitato Aushwitz.
Cosa mi ha tolto il fiato? La montagna di spazzolini da denti. Ma, insieme, anche il pensiero che forse molti degli aguzzini avevano figli e forse sapevano cantare loro delle ninne-nanne, forse sapevano pronunciare parole d'amore alla loro donna, forse eseguivano ordini solo perchè così era la procedura.
Nessuna giustificazione intendiamoci, erano cattivi... davvero. Ma quanti di loro si saranno seduti un momento e guardandosi avranno detto a sè stessi: 'sto facendo del male, sono cattivo'? La cattiveria era una cosa normale, perciò invisibile... a loro stessi.
Ecco la cosa più atroce, non che si faccia il male... ma che non si veda, che sia banale... routine, invisibile crimine quotidiano. Invisibile anche se non nascosto, che sta anche con le carezze sulla testolina di tuo figlio.
Sempre ad Aushwitz ho visto una cella piena di fiori freschi, la cella di un uomo che si è offerto di morire al posto di un altro.
Ad Aushwitz si vede il cuore degli uomini... il mio anche: capace di cattiveria, capace di bontà. Cosa e chi ci aiuterà a stare dalla parte giusta del nostro povero cuore?
Vincent
Sinceramente non mi hanno convinta, pochi o tanti quadri, affare o no, secondo me vedere anche solo un quadro di Vincent è un'esperienza da fare.
Qui ho trovato in più un percorso semplice e sincero. Non solo quadri ma anche disegni. Non solo colori accesi ma anche immagini più spente, monocromi. E' un rischio perchè mica tutti son disposti a vedere opere meno note di un pittore famoso. E poi l'accostamento ai maestri come Millet, ai contemporanei, ai precedenti. Niente di eccessivo, giusto quanto basta per farsene un'idea.
Comunque il percorso può essere trovato qui. Io voglio, come al solito, limitarmi a raccontare la mia esperienza di stupore di fronte all'ultimo regalo che ho ricevuto.
Cercherò di andare con ordine, ma sono solo impressioni. Mi sono trovata prima di tutto di fronte ai disegni e agli acquarelli che ritraggono contadini, li ho trovati accostati molto bene agli stessi soggetti di Millet che Vincent aveva conosciuto e copiato. Si, copiato come un bambino, come un bravo scolaro.
Ma quanta più commozione in questi diligenti compiti, in confronto alle pur belle ma un po' didascaliche immagini del suo maestro!
Si, lo sappiamo che Van Gogh era sensibile, ma vederlo scritto nei tratti del suo pennello è quasi come vederlo piangere, faticare, condividere, lì, davanti a te.
Tutto verde scuro, marrone, grigio, brumoso, sporco... eppure non senza dignità, soprattutto mai, mai senza speranza, come quell'improvviso, misericordioso lungo tratto di luce arancio all'orizzonte di un campo, alle spalle di due contadini curvi e impastati di terra. Quasi che la luce della grazia ci tenesse ad accompagnarli fin dentro la loro inconsapevole fatica.
La storia è nota. Figlio di un pastore protestante, impegnato in studi teologici, avviato alla stessa missione del padre, desideroso di prestare la sua opera tra la povera gente, Vincent credeva di avere un compito, anche con la sua opera pittorica, pensava di poter aiutare questi contadini a riscattarsi attraverso la bellezza, aveva un suo buon progetto 'sociale'. Fallito.
Fallito? Forse.

E' 'per' me quando grida il suo bisogno di essere amato, quando si stupisce di fronte ad un mandorlo in fiore, quando si spaventa sotto un improvviso volo di corvi neri.
Altri quadri, di altri pittori presenti alla mostra sono belli, pieni di atmosfera, capolavori insomma. Case e paesaggi... cose insomma.
Cosa trovo invece nei covoni di Vincent, nelle case, nei campi, negli alberi? E' strano, la stessa cosa che trovo nei suoi ritratti: una presenza. Due occhi che mi guardano da un suo quadro sono quasi esattamente come due cipressi che si innalzano agitati nel cielo: io sono guardata, sono di fronte a qualcuno. Sono di fronte alla passione di Vincent, alla sua domanda, al suo cercare nelle strade del mondo la ragione della sua vita, quella compagnia che forse voleva anche offrire ma di cui certamente aveva infinitamente sete.
Che drammatica bellezza che Vincent sia stato quel che era! Non senza sacrificio ma solo per quel che era.
Che bello allora sapere che, se un compito abbiamo nella costruzione del nostro pezzo di mondo, nel fare quello che ci spetta... questo è solo e unicamente seguire il nostro desiderio, sinceramente, con commozione e libertà. Gli altri hanno solo bisogno che noi siamo noi stessi, fino in fondo.
Ciao ciao
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