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Come una goccia sulla pietra calda...
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gloria


"Il male del mondo non è finito e noi tutti lo possiamo fare" cantava un mio amico.
Di cosa sto parlando?
Del punto centrale, almeno per quanto ne capisco, del punto centrale del film di Margarethe Von Trotta "Hannah Arendt".
Nell'interrogatorio al nazista Eichmann ci sono parole che mi hanno fulminata. Ho sentito un contraccolpo sordo alla bocca dello stomaco: ho scoperto con orrore la familiarità di certe affermazioni: "non ci si può opporre, di fronte agli sconvolgimenti della storia, una azione libera non avrebbe successo, sarebbe come una goccia sulla pietra calda" come dire
"una goccia nel mare" giustifica la sonnolenza della coscienza, l'ignavia, giustifica le pantofole e la poltrona del piccolo borghese. Che male c'è? Che male c'è? Dio mio, l'orrore più grande è non vedere più l'orrore!
Ecco dove si trastulla l'infamia: nella nostra "saggezza".
Quante volte? Quante volte mi sono sorpresa a pensare davanti ad un compito difficile, davanti ad un bambino che continuava a sbagliare, alla scuola che non funziona, alla politica che fa schifo, al rubinetto che perde..."che ci vuoi fare? è inutile, sarebbe come una goccia nel mare", così... parole per andare via tranquilla.
Non si tratta neppure di mancanza di coraggio, è proprio rinunciare ad essere umani, o, come diceva Hannah "rinunciare al pensiero". E qui chi si intende di filosofia potrà parlarmi della comparsa nella storia del concetto di persona, il sorgere di un'alba nuova nel cammino dell'uomo.
La certezza di tutti è che con le ideologie l'uomo, con la sua capacità di pensiero oltre che con la sua carne e il suo sangue, è stato calpestato, usato, torturato... ma ora ne sono sicura: non è finita.
Certo, non solo perchè al mondo ci sono ancora campi di concentramento, gulag, violenza ma perchè è diventata sistematica, alla moda, tranquillamente sostenuta, propagandata, ammirata, resa protagonista delle prime serate televisive quella orrenda saggezza del chiamarsi fuori dal coro; e non per rimanere soli davanti al tribunale della propria coscienza, no, per intrupparsi in altre giustificazioni collettive "organizzate gerarchicamente" perchè... a che mi serve essere libero, solo con la mia coscienza? Tanto sarebbe come una goccia sulla pietra bollente.
E allora ci costruiamo tante belle camerette a gas, dove soffocare il dolore, il disagio, la malattia, la diversità... tutte quelle faccende scomode insomma che risvegliano quella cosa che ci fa tanto uomini: il pensiero.
E così mi sono chiesta: che cosa c'entra con me il signor Eichmann?
Che cosa c'entrano, per esempio, le sue orride parole con il fatto che fra poco si va a votare per l'Europa?
Qual è l'Europa che voglio?
Quella della persona e del pensiero umano o quella che ha inventato e si trastulla ancora con la banalità del male?
P.S.
e, giusto per ricordarlo a me stessa, ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che anche a me ha detto "ti auguro di non rimanere mai tranquilla".
Non fosse altro che per queste parole ho l'ardire di chiamarlo padre mio. Potessi esserne degna... almeno usando la mia facoltà di pensare.
fare il male
Sbattilo in prima pagina e sotterralo di parole.... diventerà una fiction, un reality di plastica quindi qualcosa che riguarda gli altri, uno spettacolo, che serve ad illuderti di essere tanto buono quando si chiude il sipario.
Parlo di una ragazzina che è morta e della giostra che le gira ancora intorno, con tanto di opinionisti, colpevolisti, psicologisti e giornalisti.
Stranamente il disgusto che provo mi avvicina alla questione, ho bisogno di guardare e giudicare. Ma non mi interessa guardare morbosamente il male degli altri, è così facile, così troppo tremendamente facile trovarlo anche dentro di me!
Non c'è bisogno di arrivare ad uccidere per scoprire che il male del mondo ha un posticino comodo comodo anche a casa mia. E chi si scandalizza, chi grida al mostro vive nella casa di Barbie o in quella del Grande Fratello.
A volte per fare il male basta sentirsi 'a posto', basta la pretesa di trovare il colpevole come la soluzione di tutto: "è in galera? ok che ci resti a marcire e noi possiamo tornare a dormire, fine del problema."
Bisogna avere una grande pietà ed una grande conoscenza di sè per poter fare cronaca. Il mestiere del giornalista è uno dei più affascinanti, ha a che fare con la libertà e la discrezione, con la verità ma anche con il silenzio. Non può essere fatto da uno che ci guarda dal piedistallo, un giornalista sarà pure distaccato, ma non può tirarsi fuori dall'umano.
Oggi che differenza c'è tra libertà di stampa e rispetto per il dolore? E il sacrosanto valore della verità come va custodito? Va sempre urlata la verità? Ma la verità tutta intera, quella che prende dentro anche me, che svela anche il mio, di male. Perchè se il mio male è banale, o peggio, non lo considero, io sono in pericolo... io.
Sensi di colpa inutili? Retaggio di una 'educazione bigotta'?

Il male vero è annusare un fiore, restarne estasiati, attratti, desiderosi e tre secondi dopo, senza una ragione calpestarlo, distruggerlo, ucciderlo. E' appassionarsi della bellezza e vederla morire, non poter fare niente, nel migliore dei casi, per mantenerla intatta.
Il senso di colpa è un matto che ama di più la camicia di forza delle regole che la propria libertà di sbagliare.
Dostoevskij. Tanti dei suoi capolavori sono nati dalla lettura appassionata di fatti di cronaca, sanguinosi fatti di cronaca. Ma noi diremmo che "Delitto e Castigo" è spazzatura? Forse oggi il buon Feodor sarebbe lì anche lui a guardarsi le inchieste in tv, o bersi le ultime di "nera" dei quotidiani. Un'ossessione? Molti lo considerano un pietoso genio dell'umano.
Ma non è che tutto dipende allora dallo sguardo che abbiamo sulla realtà? Ancora una volta dobbiamo decidere se assistere passivamente alla vita da spettatori giulivi condotti attraverso la casa degli orrori, oppure viverla da protagonisti questa storia, nel bene e nel male, nella pietà e nella compassione, con le mani nella terra, senza fare i damerini senza macchia ne puzzette. Magari nella ribellione, ma vivere!
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