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Furti e bisogni

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L'oro per la povera gente non è ostentazione, l'oro per la povera gente non è vanità, l'oro per la povera gente è un concentrato di sudore e segno tangibile di legami, affetto, storia.
La povera gente sfoggia raramente il poco oro che possiede. Lo conserva, per paura di sciuparlo, come si conserva un affetto profondo, con discrezione e rispetto.

Un anello d'oro è segno nel vero senso della parola: una cosa che rimanda e ne significa un'altra, più grande, preziosa, ineguagliabile. Per questo il valore dell'oggetto non è nel pregio del metallo, nemmeno nell'abilità dell'artigiano, il valore oltrepassa il segno.

Hanno rubato le quattro cose, quattro, d'oro della mamma. Hanno rubato segni e ricordi di affetti e fatiche, di sacrifici e allegrie. Poca roba, oro dei poveri. Segni. E' rimasta giusto la fede del papà perchè la porto io al dito e una catenina che mamma mi ha consegnato tempo fa. Il resto non c'è più.



Notte insonne, mi sono venuti a trovare pensieri e stati d'animo vari. Uno su tutti, il più insistente: tu sei l'essere umano più idiota della terra perchè avresti potuto non fidarti e mettere al sicuro le cose di mamma, prima di far entrare altra gente a vivere in casa. E' davvero da stupidi credere di essere meschini solo a pensare che qualcun altro, poveretto quanto te, ti possa fregare?
Il mondo non è certo un bel posto per i grulli. Ok, potrebbe finire qui. Ma io non ci sto.
Non mi rassegno che dall'esperienza l'unica cosa che si può imparare è il cinismo.

Prima non mi importava granchè della spilletta d'oro con le iniziali, dell'anellino, della catenina. Eh già... chiaro caso di confusione tra libertà e indifferenza.

La libertà dalle cose intendo, dall'attaccamento agli oggetti: meno possiedi, più sei libero. Vero, verissimo.
Piccolo particolare: la libertà non disprezza il valore delle cose.
E' vero, quel che conta non è tolto, quello che conta è conservato in casseforti inviolabili.
Ma noi siamo facili al disorientamento, e i segni ci servono come ci serve il cartello stradale per arrivare a destinazione.
Ma se invece che turista del mondo uno si scopre ad essere a casa, tutto cambia. Anche mezzo orbo e claudicante ok, ma uno a casa sua si muove più a suo agio, liberamente...appunto.

Tutto rimane: la rabbia, la vergogna, il dispiacere... ma non il bisogno.
E io di cosa ho davvero bisogno per vivere e amare? Forse è proprio questa la domanda che spalanca la finestra di casa mia perchè possa entrare un po' d'aria libera.



errori

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Una persona candidamente perfetta, alla quale devo dire che mi sono affezionata, mi ha detto che non sono una maestra affidabile perchè ho sbagliato un accento.
Non solo, ma che dovrei vergognarmi dei miei errori ortografici invece di riderci sopra.
In effetti la cosa è gravissima, divertente, ma gravissima: sono totalmente priva di rimorso davanti a tali errori...! dovrei farmi curare.

Oltretutto, non pare essere l'errore la cosa grave, bensì la totale assenza di sensi di colpa grammaticali.
L'accento è diventato il nuovo peccato originale? Devo dire che quello di Adamo ed Eva era più...diciamo...divertente?

Sarebbe bello che il mio lavoro di insegnante, no, la mia vita intera, dovesse fare i conti solo con limiti di tal fatta!
Quello che mi fa contare le ore notturne, che mi fa rigirare nel letto per trovare una soluzione, quello che mi tormenta il cuore e non mi lascia un istante ha ben altro peso e misura.
E' lo scoprirmi totalmente incapace di amare la faccetta di bambino che ho davanti, è il non trovare le parole da dire quando mi chiede perchè deve far fatica o fallire. E' il non sapere la formula della libertà, è il non poter soffrire al posto suo.
Ho conosciuto bambini che non sapevano mettere gli accenti al posto giusto perchè avevano la mente occupata da orrori troppo familiari, bambini autistici che si rotolavano per terra perchè avevano paura di essere toccati, mentre io non potevo, non dico abbracciarli, ma anche solo guardarli negli occhi.
Ho conosciuto bambini capaci di cinismo a otto o nove anni perchè la notte erano lasciati in balìa di programmi televisivi feroci...'me l'hanno regalata...è nella mia cameretta...la posso guardare quando voglio'... e ogni volta uscivo da scuola in compagnia della mia impotenza, e forse anche di parecchi sensi di colpa perchè quel giorno avevo osato sgridarli per un apostrofo dimenticato.

Per molto tempo ho fatto a botte con i miei limiti, e ancora sono in guerra. Cosa mai mi potrà consolare, curare, guarire?
Ci sono diversi metodi per provarci: dimenticare e vivere come in un eterno luna park, farsi soccorrere da qualche strizzacervelli, convincersi che si è perfetti perchè si sanno mettere gli accenti al posto giusto e non confondere le dotte citazioni, già perchè insegnare consiste solo in questo... (?) oppure, oppure trovare qualcuno che ci ama così come siamo, non che si dimentica dei nostri errori, strabiliante! Li vede, li conosce e ci ama lo stesso! Lo stesso, senza aspettare la nostra perfezione.

C'è bisogno di un padre per poter sopportare i veri errori, ridere di quelli piccoli e tentare di convivere con quelli grandi, se proprio non si possono correggere.

Carissimo blogger Leonardo, che sogni ancora la maestra dalla penna rossa e ti tormenti sul centesimo materasso per un accento...oops...un pisello fuori posto, io ti auguro di iniziare presto a fare i conti con i veri errori che tormentano la vita, quelli dove non basta rileggersi quattro pagine di un manuale di grammatica per cavarsela...forse diventerai un insegnante meno perfetto e cavilloso ma sicuramente più tollerante con i tuoi alunni.

Un abbraccio a tutte le persone che sbagliano e sono vergognosamente prive di paura!