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Al bar si muore
Circa duemila anni fa carrettate di cristiani erano la colazione di quattro leoni al circo, oggi si segnano le porte delle case dei cristiani in Iraq: che sia ben visibile il posto dove abita una famiglia da far fuori. Si condannano a morte madri di famiglia solo perchè non vogliono bruciare incenso al nuovo imperatore.
Secoli fa partivano navi stipate di schiavi, indicibile commercio, vergogna dell'umanità. Oggi arrivano barconi stracolmi di povera gente che paga a caro prezzo la vita che è un diritto di tutti.
Sono solo due dei mille orrori di cui siamo capaci, siamo, sì, siamo: noi. E so che scandalizza questa parolina che coinvolge tutti, perchè a noi ci piace pensare che "noi non c'entriamo...noi...? Noi un corno che adesso mi tocca anche sentirmi responsabile..."
Ma io non posso rassegnarmi che la storia e il tempo non servano a niente.
Ecco, forse questo ripetersi terribile del male, questo orrore quotidiano che non ci si può neanche tappare occhi e orecchie per cancellarlo, che sembra che Dio sia una parola più simile ad un'offesa che a un conforto...tutto questo non fa che chiamarmi, urgere una risposta.
Che il tempo da solo non ci fa diventare buoni in automatico che è finita l'ottusa illusione del progresso. Che noi si vorrà anche il bene e la pace, ma non c'è bene nè pace se io non sono coinvolta.
E che se anche nel mio piccolo spazio che chiamano scatola cranica sono consapevole di non aver voluto io quegli orrori...bè, non è una buona ragione per non sentirmici dentro fino al collo, non fosse altro che per questa immensa e fastidiosissima sensazione di impotenza.
Che non è l'innocua e comoda impotenza di non poter salvare quelle vite, è molto, molto di più: è la fiacchezza quotidiana, lo stillicidio di sentirsi capaci di male, indifferenza, cattiveria, quel piccolo, insignificante male giornaliero, quella dannata ferita che grida la tua incapacità che ti fa continuare a stortare la cosa che vorresti dritta.
Non è questione di misura, il male è male, la cattiveria è cattiveria e guai a chi ne sottovaluta la banalità: ne sono state riempite centinaia di camere a gas.
Stasera va così, la storia mi serve, il tempo è amico per imparare e non smettere di desiderare il bene, ma non vanno lasciati passare senza la mia presenza... questo è quello che credo, perchè anche stasera si muore nel nostro bar... e che? vogliamo continuare a giocare a carte e bere birra credendoci invincibili? Come bambini che non hanno ancora incominciato a vivere.
essere buoni
Che so... mollare il comodo e andare dall'altra parte del mondo per condividere un soffrire, salvare una vita, addirittura morire al posto di qualcuno...
purchè sia davvero gratuita, questa è la categoria della grande, immensa bontà.
Sempre ammirevole, notevole, lodevole, certo.
Ma... sai che cosa c'è? C'è che dopo un momento me la scordo. Non lo faccio apposta, mi riempie di ammirazione, davvero. Ma poi me la scordo forse perchè non sono io a dire 'grazie', non sembra roba per me.
Poi c'è quella bontà che si nasconde, sembra cosa banalmente 'dovuta'. La bontà infrasettimanale, quella dei giorni di pioggia nel traffico delle cose da fare. E quella, proprio quella lì che, non dico un trafiletto di due righe sul giornaletto di quartiere, ma neanche un 'grazie' striminzito ti viene; perchè a tutti verrebbe da dire "che roba eccezionale sarebbe?! Ha fatto il suo dovere!" perciò lo diresti anche tu.
Comunque quando sei lì nella sala d'aspetto del dottore, piena di gente arrabbiata, sei lì che non hai neanche preso l'appuntamento e ti senti come un bandito che fa l'attentato alla tranquillità e al diritto altrui. E sei proprio preoccupato di non poter avere in tempo la tua ricetta perchè sono quasi le sette e la farmacia chiude. E non frega niente a nessuno che è una medicina salvavita, che se tua madre non la prende entro una certa ora ti senti un assassino.
Quando sei lì, dicevo, e non sai cosa fare... ti si accende la lampadina : "vado dal farmacista e mendico spudoratamente. Accada quel che accada"
"Non si preoccupi, torni dal medico, e se non fa in tempo a farle la ricetta entro le sette e mezza, venga che le lascio il farmaco, poi vediamo domani"
Entri dal medico in "zona Cesarini", quello va un po' lento ma scrive tutto. Tutte le venti ricette che ti ha lasciato l'ospedale. Esci con l'affanno, le sette e mezza sono passate da un minuto, corri senza troppe illusioni e... trovi il farmacista che è lì ad aspettarti. Non ha chiuso, è lì. Non se n'è fregato, avrebbe potuto, ma non l'ha fatto.
Sono uscita grata come un pischello africano con la sua ciotola di riso. Ecco, il farmacista ha fatto il suo dovere sì, ma aggiungendo un minuto in più. Ed è per quel minuto, piccolo e insignificante, che posso dire di aver incontrato un uomo buono stasera, oggi.
Adesso sono curiosa di sapere chi sarà quello che incontrerò domani.
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