di cosa la maestra non ha proprio bisogno...

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Credevo non fosse più così, ma... pare sia ancora un problema. Parlo del regalo. Il regalo alla maestra. Natalizio o "fineannesco".
Bene, sappiate che la maestra non ne ha per niente bisogno.
L'avreste mai detto? Cavoli, ma invece è proprio così.
Quando la maestra andava a scuola, e non era ancora la maestra, il regalo da parte di tutte la famiglie, quello con annessi mugugni e sottoscrizioni a collotorto, era un affare da fine quinta.
Ricordo che mamma e babbo rimasero un tantinello umiliati nel sentire la proposta addirittura di una lavatrice...tiravamo alquanto la cinghia, e i soldi per la nostra quota proprio non li avevamo.
Per fortuna la mia maestra, donna pratica e senza tante smancerie, si arrabbiò e proibì categoricamente ogni forma di ossequio forzato. Allora i genitori ci credevano ancora che la maestra corregge perchè è il suo mestiere e non perchè è "stronza e ce l'ha su con mio figlio".
Obbedirono. Tutti. Sì... i genitori obbedirono alla maestra.
Volete che lo ripeta? Che usi ancora questa parola perchè non siete sicuri di aver letto bene?
I genitori, quelli di una razza ormai estinta come i dinosauri, i genitori obbedirono alla maestra, senza protestare o, peggio, spettegolare.
I miei tirarono un sospiro di sollievo e optarono per la classica scatola di cioccolatini, segno tenerissimo e inequivocabile per loro di gratitudine sincera e lusso sfrenato.

Ma, ahimè, quando la maestra qui presente lasciò il proprio banco di scuola per spostarsi appena di qualche metro dietro la cattedra, era già arrivata la moda del regalo natalizio e di fine anno... di ogni benedetto anno.

Non faccio elenchi, dico solo che ne ho viste di tutti i colori. Dalla targa in ottone del peso di tre chilogrammi sani sani con incisioni in "stile vario", alla guepière in pizzo nero. Di questa vado molto orgogliosa perchè mi ricorda la scoperta in me di una saldezza di nervi inaspettata: scartarla davanti ad un uditorio di una quarantina di genitori senza capacità di discernimento,  che si aspettano da te un ossequioso ringraziamento, e farlo senza commenti audiovisivi... bè ci vuole più audacia che a indossarla, ve lo assicuro.

Ci è voluto del bello e del buono per far intuire ai molti che le maestre non sono esseri strani che pensano solo alla scuola e ai pargoli, povere creature che non hanno tempo e denaro per andarsi a comprare quel che a loro serve.
Hanno uno stipendio, sempre più ridicolo va bè, ma che non ha bisogno di essere squallidamente arrotondato con le munifiche elargizioni natalizie tradotte in oggettistica varia.

Siamo quindi arrivati all'epoca del "che cosa ha bisogno la classe?".  Che a volte ti veniva da rispondere: "di una classe".  Nel senso di un'aula decente, che non ci piova dentro, che abbia banchi sani e di misura idonea, di una lavagna intera, gessi e carta igienica. Ma col tempo ho capito che questo equivaleva a domandare l'impossibile. Vi state chiedendo se insegno nel terzo mondo vero? No, in una normalissima scuola pubblica di una grande città italiana del nord... che differenza c'è? Che nel terzo mondo alla scuola ci tengono.

Non è finita.

Si è passati alla domanda "che regalo facciamo ai bambini?" E anche qui la risposta sarebbe stata delle più semplici e faticose al mondo: "di adulti che sappiano cosa vogliono". Ok... lasciamo perdere, roba da orpelli bizantini per le nostre povere menti votate al teleschermo.

Capisco e non biasimo chi semplicemente vuole ringraziare  una persona di cui ha sincera stima, perciò a chi voleva le cose in grande ho consigliato di fare una donazione a qualsivoglia opera caritativa.

Ma se proprio volete dire grazie alla maestra... ragazzi... portatele una margherita come quando eravate piccoli, e ne facevate un mazzolino ciancicato da mettere nel bicchiere sulla cattedra e, soprattutto, non distruggete agli occhi di vostro figlio l'autorevolezza dell'adulto che sta insieme a lui più di quanto non ci state voi, è un regalo a voi stessi, prima che alla maestra.

Lo so, è difficile, ma non c'è bisogno d'altro.

Buon Natale


Al bar si muore

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A cosa serve il tempo che passa? A cosa serve la storia? A cosa serve conoscerla e studiarla?

Circa duemila anni fa carrettate di cristiani erano la colazione di quattro leoni al circo, oggi si segnano le porte delle case dei cristiani in Iraq: che sia ben visibile il posto dove abita una famiglia da far fuori. Si condannano a morte madri di famiglia solo perchè non vogliono bruciare incenso al nuovo imperatore.

Secoli fa partivano navi stipate di schiavi, indicibile commercio, vergogna dell'umanità. Oggi arrivano barconi stracolmi di povera gente che paga a caro prezzo la vita che è un diritto di tutti.

Sono solo due dei mille orrori di cui siamo capaci, siamo, sì, siamo: noi. E so che scandalizza questa parolina che coinvolge tutti, perchè a noi ci piace pensare che "noi non c'entriamo...noi...? Noi un corno che adesso mi tocca anche sentirmi responsabile..."

Ma io non posso rassegnarmi che la storia e il tempo non servano a niente.
Ecco, forse questo ripetersi terribile del male, questo orrore quotidiano che non ci si può neanche tappare occhi e orecchie per cancellarlo, che sembra che Dio sia una parola più simile ad un'offesa che a un conforto...tutto questo non fa che chiamarmi, urgere una risposta.

Che il tempo da solo non ci fa diventare buoni in automatico che è finita l'ottusa illusione del progresso. Che noi si vorrà anche il bene e la pace, ma non c'è bene nè pace se io non sono coinvolta.

E che se anche nel mio piccolo spazio che chiamano scatola cranica sono consapevole di non aver voluto io quegli orrori...bè, non è una buona ragione per non sentirmici dentro fino al collo, non fosse altro che per questa immensa e fastidiosissima sensazione di impotenza.
Che non è l'innocua e comoda impotenza di non poter salvare quelle vite, è molto, molto di più: è la fiacchezza quotidiana, lo stillicidio di sentirsi capaci di male, indifferenza, cattiveria, quel piccolo, insignificante male giornaliero, quella dannata ferita che grida la tua incapacità che ti fa continuare a stortare la cosa che vorresti dritta.

Non è questione di misura, il male è male, la cattiveria è cattiveria e guai a chi ne sottovaluta la banalità: ne sono state riempite centinaia di camere a gas.

Stasera va così, la storia mi serve, il tempo è amico per imparare e non smettere di desiderare il bene, ma non vanno lasciati passare senza la mia presenza... questo è quello che credo, perchè anche stasera si muore nel nostro bar... e che? vogliamo continuare a giocare a carte e bere birra credendoci invincibili? Come bambini che non hanno ancora incominciato a vivere.




Partecipo per vincere...

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Gira da un paio di giorni, tra le altre frasi a mo' di epitaffio, questa perla della cultura moderna "non è importante quello che trovi alla fine della corsa, l'importante è quello che incontri mentre corri" o una cosa del genere. Sembra la frase gemella su un'altra pietra tombale "l'importante non è vincere ma partecipare". E le tombe non sono quelle degli stimabili signori Faletti e de Coubertin...no, queste lapidi le vedo solo sopra l'intelligenza umana. Ma, dico io (che non sono nessuno ma che un pensiero personale avró pure il diritto di averlo), chi ripete certe cose dal pulpito di Facebook ha ragionato su quello che sta copiando oppure pensa davvero che basta essere morti per diventare oracoli? Ma veramente crediamo di darla a bere a qualcuno che non ci frega un ciffolo di avere una ricompensa per le nostre fatiche? Se è così allora perchè questo proliferare di incazzature o petizioni in cerca di "mi piace"? Se non importa arrivare ad una meta soddisfacente perche sbattersi tanto sulle proprie e altrui bacheche? Certo che è bello partecipare, certo che gli incontri sul cammino possono essere importanti ma, accidenti, chi è quel coglione a cui non interessa un ciffolo di vincere? Chi è quel pirla che preferisce vivere appeso alle proprie insoddisfazioni senza sperare di trovare una risposta? Devo fare i nomi di tutti quelli che sono arrivati a morire per questo? Andiamo a vedere cosa diceva il signor Leopardi sulla noia del vivere, citazione troppo "dotta"? Allora leggetevi cosa ne pensava miss Janis Joplin della insoddisfazione. Spendere la vita per cosa? Per una bacheca piena di belle frasi fatte? Ma basta solo vedere la delusione per essere usciti dai mondiali di calcio..."si, siamo contenti lo stesso perchè abbiamo conosciuto tanti bei calciatori stranieri"...balle! 
Gli incontri e le partite mi servono per ricordarmi che qualcosa c'è per cui sputare sangue, io corro per vincere, incontro per arrivare...altrimenti andate a bussare alla bacheca di qualcun altro. Facebook e Twitter e tutti i social del momento non sono altro che pollai, l'ultimo post non è altro che il piolo più alto della relativa scala...e non starò certo qui a spiegare come è fatta la scala di un pollaio. Perciò siamo solo galletti che per farsi sentire al massimo riescono a stonare dentro a un coro, per fare i solisti ci vuole altro, e non certo ripetere a pappagallo senza ragionare su quel che si dice.

Sete di bellezza

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Un pittore vero sa farti respirare anche l'aria di quel che vedi, e gli odori, e i rumori e i silenzi.
Scopri allora che davanti a un quadro non usi solo gli occhi, ci stai fino a che non è il quadro a stare davanti a te. Un' immersione insomma. Da gustare in silenzio.
Per questo non mi piacciono le corse nei musei, a tutti i costi vedere tutto, le mostre affollate, il chiasso e la moda delle mostre 'alla moda'.
Però...però...
Ci sono posti e situazioni che favoriscono, ma sono sempre una sorpresa.
Ascolteresti mai un pezzo di Bach o Beethoven o Mozart in mezzo al casino?  Però quando metto un cd classico a scuola, i pargoli abbassano la voce...
E i Pink Floyd o Springsteen? L'emozione di sentirli in uno stadio è imparagonabile...ma che mi dici quando sei da solo in macchina, con i bassi ben regolati?
E le poesie? Szymborska per esempio l'ho scoperta sul...tram.
Dante l'ho conosciuto sui banchi di scuola ma l'hanno anche declamato ai crocicchi delle strade.
La bellezza di un albero fiorito può sorprenderti quando aspetti al semaforo, e gli occhi profondi di qualcuno guardarti attraverso la vetrina di un bar mentre passi con la bici.

Certo, la bellezza ha i suoi luoghi privilegiati. Va protetta, curata, cullata, favorita. Ma la sua nobiltà, la verifica, la prova della sua verità è che rimane bellezza anche in mezzo al fango, è così 'di tutti' che non si lascia schiacciare da nessuno. E allora? Qual è il problema?

E' tutto nel mio sguardo e nella mia sete. Solo se non sono distratto io posso essere sorpreso e così, anche in mezzo alla folla e alla confusione accusare il colpo, cadere ferito da un'improvvisa gratuita bellezza. Non fare lo schizzinoso e lo snob, non è il luogo e nemmeno la circostanza 'ideale' a farti godere delle cose: è solo la tua sete.

La bellezza, davvero, è per gli insoddisfatti.



Come una goccia sulla pietra calda...

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...forse è proprio qui il punto, il punto malato dove la cattiveria trova la sua culla, il luogo dove è messa a dimora, covata e giustificata, nascosta...più che nascosta, camuffata...no, l'aveva detto bene, benissimo Hannah: banalizzata.
"Il male del mondo non è finito e noi tutti lo possiamo fare" cantava un mio amico.

Di cosa sto parlando?
Del punto centrale, almeno per quanto ne capisco, del punto centrale del film di Margarethe Von Trotta "Hannah Arendt".
Nell'interrogatorio al nazista Eichmann ci sono parole che mi hanno fulminata.  Ho sentito un contraccolpo sordo alla bocca dello stomaco:  ho scoperto con orrore la familiarità di certe affermazioni: "non ci si può opporre, di fronte agli sconvolgimenti della storia, una azione libera non avrebbe successo, sarebbe come una goccia sulla pietra calda" come dire
"una goccia nel mare" giustifica la sonnolenza della coscienza, l'ignavia, giustifica le pantofole e la poltrona del piccolo borghese. Che male c'è? Che male c'è? Dio mio, l'orrore più grande è non vedere più l'orrore!

Ecco dove si trastulla l'infamia: nella nostra "saggezza".
Quante volte? Quante volte mi sono sorpresa a pensare davanti ad un compito difficile, davanti ad un bambino che continuava a sbagliare, alla scuola che non funziona, alla politica che fa schifo, al rubinetto che perde..."che ci vuoi fare? è inutile, sarebbe come una goccia nel mare", così... parole per andare via tranquilla.
Non si tratta neppure di mancanza di coraggio, è proprio rinunciare ad essere umani, o, come diceva Hannah "rinunciare al pensiero". E qui chi si intende di filosofia potrà parlarmi della comparsa nella storia del concetto di persona, il sorgere di un'alba nuova nel cammino dell'uomo.
La certezza di tutti è che con le ideologie l'uomo, con la sua capacità di pensiero oltre che con la sua carne e il suo sangue, è stato calpestato, usato, torturato... ma ora ne sono sicura: non è finita.
Certo, non solo perchè al mondo ci sono ancora campi di concentramento, gulag, violenza ma perchè è diventata sistematica, alla moda, tranquillamente sostenuta, propagandata, ammirata, resa protagonista delle prime serate televisive quella orrenda saggezza del chiamarsi fuori dal coro; e non per rimanere soli davanti al tribunale della propria coscienza, no, per intrupparsi in altre giustificazioni collettive "organizzate gerarchicamente" perchè... a che mi serve essere libero, solo con la mia coscienza? Tanto sarebbe come una goccia sulla pietra bollente.
E allora ci costruiamo tante belle camerette a gas, dove soffocare il dolore, il disagio, la malattia, la diversità... tutte quelle faccende scomode insomma che risvegliano quella cosa che ci fa tanto uomini: il pensiero.


E così mi sono chiesta: che cosa c'entra con me il signor Eichmann?
Che cosa c'entrano, per esempio, le sue orride parole con il fatto che fra poco si va a votare per l'Europa?
Qual è l'Europa che voglio?
Quella della persona e del pensiero umano o quella che ha inventato e si trastulla ancora con la banalità del male?

P.S.
e, giusto per ricordarlo a me stessa, ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che anche a me ha detto "ti auguro di non rimanere mai tranquilla".
Non fosse altro che per queste parole ho l'ardire di chiamarlo padre mio. Potessi esserne degna... almeno usando la mia facoltà di pensare.

Smisurata sproporzione

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Stasera ho incrociato un video. Il distacco  di un ghiacciaio, un pezzo colossale, grande più o meno come l'isola di Manhattan, si stacca inesorabile dal resto e affonda, si scioglie, rompe gli argini. Sembra una cosa fredda... in tutti i sensi, eppure mi ha scaldato un po' il cuore e la mente.

Questi sono giorni di un altro distacco, forse più lento ma non meno inarrestabile.
Mamma si sta spegnendo come una candelina, giorno dopo giorno. Ma è grandioso quel che accade, questa nonna è una forza della natura, dimostra un vigore ancora più grande di quell'enorme ghiacciaio. Una implacabile e smisurata sproporzione tra noi e quello di cui è capace la natura. Dove natura sta per Mistero: qualcosa di sconosciuto che abbiamo sempre l'impazienza di definire, afferrare, catalogare. Ma in cui però siamo affondati dentro, ricoperti, ne siamo circondati, ne siamo fatti, è la nostra stessa stoffa.

Una donna e il ghiacciaio dicevo.
Ma la lotta che sta conducendo mamma si dimostra ancora più imponente. La mia cara lottatrice fragile, che più si abbandona più dimostra la sua grandezza. E' un ghiacciaio la mia mamma, un vulcano in eruzione. Un pugile sul ring. Un quarterback all'ultima meta.

E noi così piccoli che possiamo fare di fronte a questa corsa accanita? Guardare e accudire. Sì, accudire. Perchè forse i cataclismi in natura a volte possono essere conseguenza della nostra incuria.  Nello stesso tempo sappiamo però che non sono le nostre cure a decidere il destino, e allora dobbiamo attentamente guardare. Riempirci gli occhi di quei movimenti, di quell'andare perchè la cosa migliore da imparare...forse, dico...forse... è quella sproporzione sana che ti fa dire "non sono io il padrone".
E se non sono io a fare quel che c'è vuol dire che pensarmi sola è irragionevole.
Ecco, se sto attenta sento, mi accorgo che lì inizia la gratitudine e lo stupore, proprio lì, insieme a una pacifica dolcezza, in mezzo a un dolore grande.


Wisława Szymborska: cucinare poesie

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Ho conosciuto una donna che ha scritto poesie. Le leggo sul tram tornando a casa dal lavoro.
Illuminano questi giorni di pioggia.
Non fanno sparire l'acqua che cola sui finestrini, nè l'umido che entra nelle ossa, e anche il cielo grigio e bigio rimane al suo posto. Però tutto è illuminato. Dalla poesia.
Ho scoperto la poesia andando in giro in tram.
Szymborska ne sarebbe contenta, ho la pretesa di esserne certa.
Ormai siamo amiche, e lei mi racconta con ironica leggerezza quello che i suoi occhi vedono; mi canta con note un po' surreali la musica che ascolta.
Un poeta non descrive la realtà... te la cucina. Mette le mani agli ingredienti che il buon Dio ha usato per fare il mondo, e ti scodella nel piatto qualcosa di nuovo.
Lo fa con l'impudenza di un bambino, guardando come guarderebbe un bambino.
E sto parlando del bambino quello vero: l'essere più serio e lavoratore che ci sia. Non di quel coso rimbambito e improbabile che ci butta in grembo mamma tivù.

Così, guidata dal profumo delle parole, entro in un'operosa cucina ad assaporare con gusto e lentezza i manicaretti di questa Babette letteraria. Eppure sono sempre su questo tram che scaracolla lungo viali trafficati.
Ecco, incontro le paffute bellezze di Rubens, sono proprio lì, sedute vicino alla ragazza con le cuffiette e l'phone. E la pioggia che gocciola sui vetri, ti sei accorta ch'è fatta dall'acqua di tutti i fiumi del mondo?
All'angolo, vicino alla farmacia, è ferma Cassandra, mentre sui muri al posto dei manifesti, vedo una ieratica coppia fuggita da qualche mosaico bizantino. Rigidi e bizzarri.

La poetessa parla con tutti, e sembrano discorsi di vita consueta. Ti parla di tutti, come fossero i suoi vicini di casa. Poi ti accorgi che le parole ti accompagnano dentro, come uno speleologo, a scoprire che le cose e i fatti hanno uno spessore.

Guardi. Già, perchè le parole vere ti fanno guardare, e vedere di più. Non mondi lontani e irraggiungibili, ma esattamente il mondo che hai sottomano. E' un viaggio dentro quello che hai davanti, in quello che stai facendo.
Dal lavoro, a casa mia, stessa strada, tutti i giorni.
Poesia è quando inizi a sentire un sapore diverso con gli stessi ingredienti di tutti i giorni.
Continuo a guardare dal finestrino e sorrido soddisfatta.
E se forse ho banalizzato mi perdonino i professori che sanno parlare davvero di letteratura, ma in queste settimane così strane e pesanti, ho trovato la compagnia di un'amica: Wisława Szymborska
Se ancora non l'avete fatto passate a conoscerla, e portatele i miei saluti, ditele che ci vediamo domani, alla solita fermata del tram.


Libertà

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Sarò breve.
Mio padre e mia madre hanno tirato la cinghia per farmi studiare. Risparmiavano il centesimo sulle loro scarpe e sul cappotto ma dicevano che io dovevo andare a scuola perchè l'ignoranza è la fame peggiore, la maleducazione la più nera povertà.

Questo era il ragionamento di persone semplici.

Stanno girando voci che nella scuola italiana non sarà più insegnata la storia dell'arte perchè....non ci sono soldi. Spero con tutto il cuore che sia una balla.
Ma anche se fosse, non è che senza questa notizia saremmo messi poi tanto bene qui dalle parti della scuola italiana.

Adesso voglio fare una sola domanda, una soltanto ai Soloni del mio tempo, quelli che dovrebbero traghettarci in questa palude chiamata crisi.
 E non parlo solo a quelli seduti in parlamento, ma anche a chi sta dietro le scrivanie delle redazioni, a quelli che parlano alla tv un giorno si e l'altro ancora, a tutti quelli provvisti di megafono e ai loro editori compiacenti, quelli che salgono sul palcoscenico ad insegnarci come si sta al mondo: in quale considerazione tenete l'educazione del nostro popolo? In che misura investite sulla scuola?
Quali sono le vostre scelte? L'auto per tutti o per ognuno un cervello in grado di ragionare? Panem et circenses oppure libri e conoscenza?
Insomma: libertà o schiavitù?
Ma poi non scandalizzatevi se qualche idiota pratica lo sport osceno dei libri al falò... sarebbero degni figli vostri.

Non scomodatevi a rispondere...lo capirò dalle vostre azioni...sono in grado di ragionare, i miei hanno tirato la cinghia perchè qualcuno mi abituasse  ad usare un minimo occhi e cervello.






Furti e bisogni

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L'oro per la povera gente non è ostentazione, l'oro per la povera gente non è vanità, l'oro per la povera gente è un concentrato di sudore e segno tangibile di legami, affetto, storia.
La povera gente sfoggia raramente il poco oro che possiede. Lo conserva, per paura di sciuparlo, come si conserva un affetto profondo, con discrezione e rispetto.

Un anello d'oro è segno nel vero senso della parola: una cosa che rimanda e ne significa un'altra, più grande, preziosa, ineguagliabile. Per questo il valore dell'oggetto non è nel pregio del metallo, nemmeno nell'abilità dell'artigiano, il valore oltrepassa il segno.

Hanno rubato le quattro cose, quattro, d'oro della mamma. Hanno rubato segni e ricordi di affetti e fatiche, di sacrifici e allegrie. Poca roba, oro dei poveri. Segni. E' rimasta giusto la fede del papà perchè la porto io al dito e una catenina che mamma mi ha consegnato tempo fa. Il resto non c'è più.



Notte insonne, mi sono venuti a trovare pensieri e stati d'animo vari. Uno su tutti, il più insistente: tu sei l'essere umano più idiota della terra perchè avresti potuto non fidarti e mettere al sicuro le cose di mamma, prima di far entrare altra gente a vivere in casa. E' davvero da stupidi credere di essere meschini solo a pensare che qualcun altro, poveretto quanto te, ti possa fregare?
Il mondo non è certo un bel posto per i grulli. Ok, potrebbe finire qui. Ma io non ci sto.
Non mi rassegno che dall'esperienza l'unica cosa che si può imparare è il cinismo.

Prima non mi importava granchè della spilletta d'oro con le iniziali, dell'anellino, della catenina. Eh già... chiaro caso di confusione tra libertà e indifferenza.

La libertà dalle cose intendo, dall'attaccamento agli oggetti: meno possiedi, più sei libero. Vero, verissimo.
Piccolo particolare: la libertà non disprezza il valore delle cose.
E' vero, quel che conta non è tolto, quello che conta è conservato in casseforti inviolabili.
Ma noi siamo facili al disorientamento, e i segni ci servono come ci serve il cartello stradale per arrivare a destinazione.
Ma se invece che turista del mondo uno si scopre ad essere a casa, tutto cambia. Anche mezzo orbo e claudicante ok, ma uno a casa sua si muove più a suo agio, liberamente...appunto.

Tutto rimane: la rabbia, la vergogna, il dispiacere... ma non il bisogno.
E io di cosa ho davvero bisogno per vivere e amare? Forse è proprio questa la domanda che spalanca la finestra di casa mia perchè possa entrare un po' d'aria libera.