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L'amicizia è fare musica insieme

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(raccontino liberissimamente ispirato dal mio amico Amadeus) 

 Alle soglie dell'inverno la foresta si prepara ad affrontare il grande freddo. I colori dell'allegro autunno si stanno già spegnendo, i rami scuri degli alberi non nascondono più i nidi ormai quasi vuoti. Non si è ancora placato però il fervore delle ultime partenze, non ha sosta la fretta delle ingorde bestioline che si stanno preparando al lungo sonno del letargo. Per alcuni ancora qualche nocciola da saccheggiare, per altri un' ultima virata tra i rami prima del grande volo.  E guarda quei monelli dell'ultima nidiata di scoiattoli mai stanchi di saltare tra foglie bagnate e rami già freddi e nudi.
Tutti hanno qualcosa da fare...tutti? Bè, non proprio tutti. Qualcuno ha solo voglia di cantare e contemplare il paesaggio: è il piccolo usignolo dalla coda rossiccia e dal capino dorato. Impaziente ed eccitato per l'imminente partenza.
"Voglio partire" dice con il suo canto, e saluta gli alberi, saluta lo scoiattolo e la volpe, saluta le nuvole un po' bigie e il pallido sole.
Ha dimenticato qualcuno però. Qualcuno geloso, qualcuno che per tutta la bella stagione ha cantato con lui, qualcuno che sempre corre e sempre rimane e guarda con un po' di invidia tutti questi preparativi. "Perchè non ti curi più di me amico?" si lamenta l'acqua del ruscello che ancora gorgoglia tra le rocce e i sassi bianchi. "Tu parti e te ne voli via, non ti dispiace lasciarmi qui?"
 L'uccellino sembra davvero indifferente all'amica di una volta. Lui vola eccitato e contento, pare non aver tempo per chi rimane.
"Tutti se ne vanno, oppure si nascondono, che farò io qui sola? Neppure il raggio del sole riuscirà a scaldarmi il cuore, non avrò più lacrime per piangere, perchè senza amici non si può cantare". "Acqua di ruscello, acqua di sorgente, non fare la smorfiosa, non dir che non sai niente. Io sono l'usignolo e devo partire. Svernare nella terra aldilà del mare. Altri amici troverai, altre canzoni canterai"
"Abbiamo passato insieme tanti bei giorni e alla sera mi cantavi bellissime melodie, hai imparato da me a gorgheggiare... non ti ricordi amico ingrato?" risponde ostinata l'acqua.
Ma l'usignolo non è un uccellino dispettoso, segue solo la sua natura dolce e allegra. Lascia che l'acqua si lamenti un po'... e prima che quella arrivi a piangere davvero eccolo scendere dalla più alta cima dell'albero fino alla riva del ruscello, si china sullo specchio trasparente e sussurra cantando: "Amica limpida e cristallina, io parto certo, ma ritornerò. Non potrei cantare se tu non me lo avessi insegnato, non saprei riposare se tu non mi avessi cullato, non vedo come sarei vivo se non mi avessi dissetato." Così, rassicurata, all'acqua viene in mente una promessa da fare al suo caro amico: "Davvero senza la tua amicizia io non potrò più cantare, chiederò al mago inverno di fermarmi in un incantesimo di ghiaccio, sarò silenziosa e ferma fino a quando tu non sarai tornato" "Allora anche da lontano, canterò io per te" le risponde l'amico uccellino "E quando sentirai l'eco delle mie canzoni vorrà dire che è tornata la primavera e potremo di nuovo fare musica insieme" E prima di partire i due cari amici, acqua e usignolo, intonano insieme un'ultima allegra melodia, non per dirsi addio, no, ma solo arrivederci perchè l'amicizia non finisce mai, anche da lontano, anche nel silenzio dell'inverno.
 

Buona Pasqua!

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                          Piero della Francesca 'Resurrezione' (museo civico San Sepolcro)



Mozart "Gloria" (messa Incoronazione direttore H. Von Karajan, Vienna Philarmonic)






                                    Piero della Francesca 'Resurrezione' (particolare)

Musica per la settimana Santa (4)

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Non può mancare il Requiem di Mozart


Rex Tremendae



Lacrimosa

L'arte è un'obbedienza

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Quando si rese conto che era proprio andato, trapassato...morto insomma, quasi sentì un sospiro di sollievo.
C'era qualcosa che ricordava, qualcosa di vagamente incompiuto, ma scrollò le spalle e avanzò, curioso, come sempre.
"Purchè il mio caro babbo non arrivi a rompere l'anima anche qui con le sue manie di grandezza. Voglio trovare mamma e fermarmi un po' con lei a raccontare balle, facezie e storielline. A farci i solletici con un po' di barzellette.
 Niente corti principesche e niente esibizioni. Da oggi vacanza!"
"Come! Nessuno è venuto ad accogliermi? Ohibò, che disdicevole mancanza! Ma, dopotutto neanche al mio funerale c'è stata poi quella gran folla. Calma, calma.. non spingete e non fate chiasso...darò retta a tutti!"
Cercò di guardarsi alle spalle ma... capì che non era più possibile una cosa del genere, neanche 'tecnicamente'.
Rimase un po' contrariato, ma solo un po', perchè sapeva ridere di sè stesso, sì, ne era sempre stato capace, e adesso qui, gli riusciva particolarmente bene.
Tutto sembrava familiare e nuovo nello stesso tempo. Tutto era così diverso. Diverso tranne...tranne una cosa: la musica. Si, la musica, quella cosa che, ora ricordava, quella cosa che era stata, nella gioia, la sua gioia, nel dolore, il suo dolore... era stata tutta, tutta la sua vita.
Non si sentiva triste, né per sè stesso, né per gli altri. Tutta quella libertà che la sua musica nascondeva e rivelava, tutta quella leggerezza, quell'allegria, quel lavoro, sudore, studio, desiderio, voglia, passione e sdegno, tutta la nostalgia e la tensione, tutto il riposo e il profondo e vero e sacro e sublime amore che la sua musica appena accennava... ora erano qui, rivelati e presenti e soprattutto semplici, semplice e purissima musica.
Potenza e sorpresa, vita e beatitudine della verità in un suono sublime. Quello che aveva sempre avuto nella testa e nel cuore e mai mai era riuscito a rendere suono, musica e armonia.
Incantevole! E incantato ne seguiva il filo, come un sentiero che si dipanava sotto i suoi passi. E lo seguiva come un bambino segue il volo del suo aquilone, con l'allegria e la spensieratezza di un gioco, gridando "Ancora! Ancora! Più in là...non fermarti...portami dove vuoi, portami con te".

Silenzio. Ad un tratto silenzio. Si fermò. Non era deluso, né stanco, né triste. Attesa. Era un attimo di attesa, certo, sicuro di un incontro, certo, sicuro di essere di lì a breve ancora sorpreso e felice.
Sarebbe stato capace comunque di aspettare all'infinito. Non gli importava, non se ne sarebbe lamentato per niente al mondo. Quell'attesa, quel silenzio erano pieni, colmi, densi del colore e del profumo di una certezza. Non avrebbe scambiato un secondo di quell'attesa con cento anni di soddisfazioni terrene. Ci sguazzava come un pesce nell'oceano. Se ne trastullava come un bambino in giostra. 'Ebbro di attesa' si sarebbe detto.
E ricordava un preludio, una fantasia che aveva scritto...'nooo...fesserie, niente di più lontano...' eppure, era stato come il suo primo balbettìo. Lontana eco di qualcosa che esisteva, ora, qui.
Era un fatto. Era lì. Attendeva. Silenzio.
Una voce, no, una musica, no, un fiume di gloria prese a sussurrare intorno a lui.

"Finalmente, qui. Sei arrivato. La mia gioia incontenibile hai fatto passare, come da un pertugio il fumo dell'incendio ha invaso la casa degli uomini. Ma l'incendio sono io e tu solo una fessura. Ché la tua arte non è stata che obbedienza alla mia voce. Quando il tuo cuore, il tuo povero cuore umano, si è lasciato andare a quella che chiamavi la tua passione aprendo anche solo un piccolo spiraglio, io ho esultato libero e sono passato. Sono passato dalle tue mani, dalla tua mente, dalle tue note e lì ho parlato. Con parole discrete, misurate... che se avessi sciolto il mio canto al mondo, il mondo intero e le galassie avrebbero rotto l'ordine e l'equilibrio, impazzendo di gioia. 
Ora potrai sentire da quali sorgenti la tua musica è sgorgata. Potrai inebriarti al profumo del giardino da cui è caduto il seme germogliato in armonia. La mia parola è canto. Il mio amore è sinfonico. La mia gioia è danza... continuerai a suonare, in eterno a parlare con me...lo vuoi?"

Silenzio. Non osava rispondere. Tutto questo per lui, per il povero 'lui' che era? Fu un momento. Ricompose in un istante tutta la sua musica, tutti gli studi, gli scherzi, le sonate e le sinfonie, le opere e le sacre armonie cantate e capì che era niente. Niente. Quello che il mondo intero avrebbe osannato per secoli, per secoli ascoltato in lacrime e purissima gioia umana... era niente, niente di suo.
Eppure come gli apparteneva! Tutto, fino all'ultima più piccola pausa, all'ultimo bemolle dell'ultimo pentagramma, all'incompiuto sonoro dolore di quella nota che non riusciva a trovare. Tutto aveva bevuto e donato al mondo intero.
"E come potrei non volerlo, mia gioia e felicità in compimento? Per sempre...sì"
"Allora vieni a liberare la tua musica e rallegrati per sempre... vieni Amadeus"


MARIA Veniaminovna YUDINA

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'ho solo due nemici a questo mondo: le briciole e il potere sovietico'
e questo lo diceva pulendo la tovaglia dopo pranzo.

Era una donna, era russa, era una pianista... e che pianista!



qualcuno dice che il disco di questo concerto fosse sul piatto del grammofono di Stalin il giorno della sua morte.
Di fatto la registrazione fu eseguita appositamente per lui nel giro di una nottata. Come ringraziamento  fu spedita all'artista una considerevole somma in denaro, ecco che razza risposta ottenne Stalin da lei:

"Vi ringrazio per la vostra generosa offerta Yossif Vissarionovich. Pregherò per voi giorno e notte perchè il Signore vi perdoni i vostri gravi peccati contro il popolo e la Nazione. Quanto al denaro, ne ho fatto dono alla parrocchia, per i lavori di restauro"

Innumerevoli erano partiti per la Siberia per molto, molto meno....

Musica e mistero infinito, questo era il pane di cui si nutriva Maria Yudina

L'uccellino e la farfalla

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In un bellissimo bosco, dimora della volpe e del cervo, all'ombra di maestosi e verdi alberi, sotto le fronde di un'ampia quercia, aveva fatto il nido un uccellino. Era uno di quegli uccellini comuni, che tutti conoscono ma di cui nessuno si ricorda bene il nome. La bestiola non si curava molto dell'indifferenza altrui. Amava il suo bosco, amava la sua quercia, ma più di tutto amava cantare. Dal mattino alla sera quell'angolo di bosco era riempito dai suoi gorgheggi.
Non chiedeva molto alla vita, volava per acchiappare qualche piccolo insetto, si riposava all'ombra di qualche frasca e... cantava.
Un giorno però, l'uccellino non uscì dal suo nido, nessuno si accorse subito della sua mancanza, i leprotti continuavano a saltellare qui e là in cerca di radici ed erba, le volpi si pavoneggiavano nelle loro morbide e lunghissime code, le fronde continuavano a cullarsi alla dolce carezza del vento. Però ad un tratto il bosco si fermò... mancava qualcosa, si qualcosa ma... che cosa?
Mancava il canto dell'uccelletto che faceva sempre da sottofondo vivace e gentile all'opera di tutti.
E tutti cominciarono a preoccuparsi, era una piccola mancanza, avrebbero vissuto anche senza quella musica... ma si può davvero vivere senza la musica?
Incaricarono una farfalla: "tu che sei abbastanza piccola e sai volare" disse la grande Quercia Madre " vai a cercare l'uccellino nel suo nido, e vedi cosa gli è successo"
La farfalla, la più bella e colorata farfalla del bosco agitò le sue bellissime ali delicate e volò leggera verso il ramo dove stava il piccolo nido. Sembrava un fiore di seta, un piccolo arcobaleno che frullava tra i raggi di sole sfuggiti alla barriera fitta dei rami. Un po' si vedeva, e un po' dopo si perdeva alla vista. Infine arrivò, si posò elegante e silenziosa sul bordo del nido, si chinò appena come danzando e chiamò l'uccellino.
La bestiola alzò il capo e guardò quella meraviglia che come un dono inatteso si era degnata di bussare alla sua dimora.
Per un poco nessuno dei due aprì bocca, stupiti dello stupore l'uno dell'altro.
Fu la farfalla a parlare per prima: "cosa ti succede? tutti gli abitanti del bosco mi hanno mandato a chiamarti"
"e perchè mai di grazia?" rispose l'uccellino un po' affannato dalla sorpresa
"perchè non canti più la tua musica?"
"ma la mia musica non serve a nulla... vedi? Gli alberi producono frutti e ombra, tu dai allegria, colore e luce al bosco che sarebbe freddo e cupo senza la tua bellezza... ma io, che faccio io... canto e perdo tempo. Non servo proprio a nessuno"
"Proprio no, amico mio" rispose decisa la farfalla "noi tutti abbiamo bisogno della tua musica. Come credi che ci ricorderemmo che siamo creature, che tutto quello che abbiamo ci è stato donato, chi meglio del tuo canto sa parlare al nostro cuore quando siamo tristi o allegri? Cosa meglio del tuo canto ci dona l'energia per il nostro muoverci e lavorare? E come potremmo mai vivere senza la tua musica?"
Dopo quelle accorate parole l'uccellino si alzò, guardò l'amica con infinita gratitudine e... spiccò il suo volo cantando.
Il bosco tutto sospirò di sollievo, e mai mai la farfalla volò più con tanta grazia.
"Bene, tutto è tornato in ordine" disse la Quercia Madre con sussiego "possiamo tornare al nostro lavoro".


concerto per arpa e flauto K 299 Berliner Philharmoniker

Domandare perdono

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Il perdono si domanda, e che fatica provarci! Il perdono si riceve, e che dolcezza ottenerlo! Il perdono ci viene regalato, e che festa, come è più leggera la vita!
Un perdono grande grande, il più grande che c'è si chiama misericordia, è una parola grossa, ci dà quasi fastidio tanto è grossa, ma forse perché sembra davvero impossibile. Come è impossibile rinascere di nuovo.
Eppure quando l'abbiamo fatta proprio grossa non è quello che in fondo desideriamo?
Resettare e ricominciare da capo... nuovi nuovi.
Bene, c'è qualcuno che ha provato a renderla leggera questa parola tanto difficile, e secondo me ci è riuscito. Parlo di Mozart e della scena finale de "Le nozze di Figaro", dove si canta dell'afflizione di un uomo, del bene che riceve e della festa che ne segue. 
Qui non ci sono solo un uomo che chiede perdono e una donna che lo concede ma la musica ci racconta molto di più, è la voce stessa di un perdono grande che viene direttamente dal cielo, c'è il mio cuore incapace e meschino che domanda incerto un po' di comprensione, c'è il regalo inatteso del perdono di Dio che mi accoglie sorridendo. E si festeggia perché quando l'impossibile diventa certo... beh... che devi stare ancora lì col muso?






Contessa, perdono.
CONTESSA
Più docile io sono,
e dico di sì.
TUTTI
Ah! Tutti contenti
saremo così.

TUTTI
Questo giorno di tormenti,
di capricci e di follia,
in contenti e in allegria
solo Amor può terminar.
Sposi, amici, al ballo! al gioco!
Alle mine date fuoco,
ed al suon di lieta marcia
corriam tutti a festeggiar.

Amadeus

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Ci sono momenti in cui ti aggrappi ad una musica come ad una mano. Sei lì sospeso sul bordo di una decisione, hai male a tutte le ossa... ci vorrebbe una spalla, una mano, due dita.
Senza guardare, non c’è affatto bisogno di tante parole, solo qualcuno che ti respira vicino, che tenta di andare al tuo ritmo, forse lui c’è già passato e sa come succede.
Le cose che ha detto per sé un tempo, non sapeva neanche che tu esistessi ma, guarda, le ha dette per te.
E tu ci puoi appoggiare la fronte ad una musica, ti vengono i brividi e sai di non poter stare lì così per tanto; ma sono solo due dita, un respiro, un attimo, giusto per non sentirti perso, fuori dal mondo.
Ci sono canti fratelli del Silenzio, non sono molti, ma ci sono. Sono come quegli amici che non hanno paura di dirti la verità, di tacere una facile consolazione, ma che sono lì, qualsiasi cosa accada, filano per la loro strada e arrivano alla meta dritti alla bocca dello stomaco e tu ti dovrai pur accorgere di tutto quello che hai tentato di nascondere.
Certa musica fa male, strappa le bende dalle ferite come un chirurgo spietato, ben sicuro del fatto suo: accidenti, bisognerà pur fidarsi di qualcuno! E tu lo sai, lo sai fin troppo bene che l’unico amico fidato è quello che è capace di parlare con il tuo cuore.

Il genio di Mozart, consolazione per gli uomini.