Smisurata sproporzione

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Stasera ho incrociato un video. Il distacco  di un ghiacciaio, un pezzo colossale, grande più o meno come l'isola di Manhattan, si stacca inesorabile dal resto e affonda, si scioglie, rompe gli argini. Sembra una cosa fredda... in tutti i sensi, eppure mi ha scaldato un po' il cuore e la mente.

Questi sono giorni di un altro distacco, forse più lento ma non meno inarrestabile.
Mamma si sta spegnendo come una candelina, giorno dopo giorno. Ma è grandioso quel che accade, questa nonna è una forza della natura, dimostra un vigore ancora più grande di quell'enorme ghiacciaio. Una implacabile e smisurata sproporzione tra noi e quello di cui è capace la natura. Dove natura sta per Mistero: qualcosa di sconosciuto che abbiamo sempre l'impazienza di definire, afferrare, catalogare. Ma in cui però siamo affondati dentro, ricoperti, ne siamo circondati, ne siamo fatti, è la nostra stessa stoffa.

Una donna e il ghiacciaio dicevo.
Ma la lotta che sta conducendo mamma si dimostra ancora più imponente. La mia cara lottatrice fragile, che più si abbandona più dimostra la sua grandezza. E' un ghiacciaio la mia mamma, un vulcano in eruzione. Un pugile sul ring. Un quarterback all'ultima meta.

E noi così piccoli che possiamo fare di fronte a questa corsa accanita? Guardare e accudire. Sì, accudire. Perchè forse i cataclismi in natura a volte possono essere conseguenza della nostra incuria.  Nello stesso tempo sappiamo però che non sono le nostre cure a decidere il destino, e allora dobbiamo attentamente guardare. Riempirci gli occhi di quei movimenti, di quell'andare perchè la cosa migliore da imparare...forse, dico...forse... è quella sproporzione sana che ti fa dire "non sono io il padrone".
E se non sono io a fare quel che c'è vuol dire che pensarmi sola è irragionevole.
Ecco, se sto attenta sento, mi accorgo che lì inizia la gratitudine e lo stupore, proprio lì, insieme a una pacifica dolcezza, in mezzo a un dolore grande.


Wisława Szymborska: cucinare poesie

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Ho conosciuto una donna che ha scritto poesie. Le leggo sul tram tornando a casa dal lavoro.
Illuminano questi giorni di pioggia.
Non fanno sparire l'acqua che cola sui finestrini, nè l'umido che entra nelle ossa, e anche il cielo grigio e bigio rimane al suo posto. Però tutto è illuminato. Dalla poesia.
Ho scoperto la poesia andando in giro in tram.
Szymborska ne sarebbe contenta, ho la pretesa di esserne certa.
Ormai siamo amiche, e lei mi racconta con ironica leggerezza quello che i suoi occhi vedono; mi canta con note un po' surreali la musica che ascolta.
Un poeta non descrive la realtà... te la cucina. Mette le mani agli ingredienti che il buon Dio ha usato per fare il mondo, e ti scodella nel piatto qualcosa di nuovo.
Lo fa con l'impudenza di un bambino, guardando come guarderebbe un bambino.
E sto parlando del bambino quello vero: l'essere più serio e lavoratore che ci sia. Non di quel coso rimbambito e improbabile che ci butta in grembo mamma tivù.

Così, guidata dal profumo delle parole, entro in un'operosa cucina ad assaporare con gusto e lentezza i manicaretti di questa Babette letteraria. Eppure sono sempre su questo tram che scaracolla lungo viali trafficati.
Ecco, incontro le paffute bellezze di Rubens, sono proprio lì, sedute vicino alla ragazza con le cuffiette e l'phone. E la pioggia che gocciola sui vetri, ti sei accorta ch'è fatta dall'acqua di tutti i fiumi del mondo?
All'angolo, vicino alla farmacia, è ferma Cassandra, mentre sui muri al posto dei manifesti, vedo una ieratica coppia fuggita da qualche mosaico bizantino. Rigidi e bizzarri.

La poetessa parla con tutti, e sembrano discorsi di vita consueta. Ti parla di tutti, come fossero i suoi vicini di casa. Poi ti accorgi che le parole ti accompagnano dentro, come uno speleologo, a scoprire che le cose e i fatti hanno uno spessore.

Guardi. Già, perchè le parole vere ti fanno guardare, e vedere di più. Non mondi lontani e irraggiungibili, ma esattamente il mondo che hai sottomano. E' un viaggio dentro quello che hai davanti, in quello che stai facendo.
Dal lavoro, a casa mia, stessa strada, tutti i giorni.
Poesia è quando inizi a sentire un sapore diverso con gli stessi ingredienti di tutti i giorni.
Continuo a guardare dal finestrino e sorrido soddisfatta.
E se forse ho banalizzato mi perdonino i professori che sanno parlare davvero di letteratura, ma in queste settimane così strane e pesanti, ho trovato la compagnia di un'amica: Wisława Szymborska
Se ancora non l'avete fatto passate a conoscerla, e portatele i miei saluti, ditele che ci vediamo domani, alla solita fermata del tram.


Libertà

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Sarò breve.
Mio padre e mia madre hanno tirato la cinghia per farmi studiare. Risparmiavano il centesimo sulle loro scarpe e sul cappotto ma dicevano che io dovevo andare a scuola perchè l'ignoranza è la fame peggiore, la maleducazione la più nera povertà.

Questo era il ragionamento di persone semplici.

Stanno girando voci che nella scuola italiana non sarà più insegnata la storia dell'arte perchè....non ci sono soldi. Spero con tutto il cuore che sia una balla.
Ma anche se fosse, non è che senza questa notizia saremmo messi poi tanto bene qui dalle parti della scuola italiana.

Adesso voglio fare una sola domanda, una soltanto ai Soloni del mio tempo, quelli che dovrebbero traghettarci in questa palude chiamata crisi.
 E non parlo solo a quelli seduti in parlamento, ma anche a chi sta dietro le scrivanie delle redazioni, a quelli che parlano alla tv un giorno si e l'altro ancora, a tutti quelli provvisti di megafono e ai loro editori compiacenti, quelli che salgono sul palcoscenico ad insegnarci come si sta al mondo: in quale considerazione tenete l'educazione del nostro popolo? In che misura investite sulla scuola?
Quali sono le vostre scelte? L'auto per tutti o per ognuno un cervello in grado di ragionare? Panem et circenses oppure libri e conoscenza?
Insomma: libertà o schiavitù?
Ma poi non scandalizzatevi se qualche idiota pratica lo sport osceno dei libri al falò... sarebbero degni figli vostri.

Non scomodatevi a rispondere...lo capirò dalle vostre azioni...sono in grado di ragionare, i miei hanno tirato la cinghia perchè qualcuno mi abituasse  ad usare un minimo occhi e cervello.






Furti e bisogni

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L'oro per la povera gente non è ostentazione, l'oro per la povera gente non è vanità, l'oro per la povera gente è un concentrato di sudore e segno tangibile di legami, affetto, storia.
La povera gente sfoggia raramente il poco oro che possiede. Lo conserva, per paura di sciuparlo, come si conserva un affetto profondo, con discrezione e rispetto.

Un anello d'oro è segno nel vero senso della parola: una cosa che rimanda e ne significa un'altra, più grande, preziosa, ineguagliabile. Per questo il valore dell'oggetto non è nel pregio del metallo, nemmeno nell'abilità dell'artigiano, il valore oltrepassa il segno.

Hanno rubato le quattro cose, quattro, d'oro della mamma. Hanno rubato segni e ricordi di affetti e fatiche, di sacrifici e allegrie. Poca roba, oro dei poveri. Segni. E' rimasta giusto la fede del papà perchè la porto io al dito e una catenina che mamma mi ha consegnato tempo fa. Il resto non c'è più.



Notte insonne, mi sono venuti a trovare pensieri e stati d'animo vari. Uno su tutti, il più insistente: tu sei l'essere umano più idiota della terra perchè avresti potuto non fidarti e mettere al sicuro le cose di mamma, prima di far entrare altra gente a vivere in casa. E' davvero da stupidi credere di essere meschini solo a pensare che qualcun altro, poveretto quanto te, ti possa fregare?
Il mondo non è certo un bel posto per i grulli. Ok, potrebbe finire qui. Ma io non ci sto.
Non mi rassegno che dall'esperienza l'unica cosa che si può imparare è il cinismo.

Prima non mi importava granchè della spilletta d'oro con le iniziali, dell'anellino, della catenina. Eh già... chiaro caso di confusione tra libertà e indifferenza.

La libertà dalle cose intendo, dall'attaccamento agli oggetti: meno possiedi, più sei libero. Vero, verissimo.
Piccolo particolare: la libertà non disprezza il valore delle cose.
E' vero, quel che conta non è tolto, quello che conta è conservato in casseforti inviolabili.
Ma noi siamo facili al disorientamento, e i segni ci servono come ci serve il cartello stradale per arrivare a destinazione.
Ma se invece che turista del mondo uno si scopre ad essere a casa, tutto cambia. Anche mezzo orbo e claudicante ok, ma uno a casa sua si muove più a suo agio, liberamente...appunto.

Tutto rimane: la rabbia, la vergogna, il dispiacere... ma non il bisogno.
E io di cosa ho davvero bisogno per vivere e amare? Forse è proprio questa la domanda che spalanca la finestra di casa mia perchè possa entrare un po' d'aria libera.



...in ciel arder le stelle...

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Stasera torno a casa tardi, davvero stanca. Sto pensando solo al mio lettuccio, niente di poetico, la pura e semplice risposta ad un bisogno primario.
Non so com'è ma alzo la testa e mi affaccio al cielo, le stelle. Non molte a dire la verità, giusto quelle consentite dalla elettricità cittadina e dal ritaglio di cobalto fra i tetti.
Stelle.
Piccole e ammiccanti.
Forse, a suo modo, un milanese può comprendere per un infinitesimo di secondo la sorpresa che potrebbe aver avuto il primo uomo che le ha guardate un po' bene.
Lasciarsi catturare dalle stelle qui è una rarità.
Perciò quando succede può somigliare a qualcosa di nuovo.
Possibile che scopriamo anche noi di non aver ancora annullato, come il biglietto del tram, la nostra umanità.
La stanchezza a volte è generosa, non lascia scampo a pensieri superflui, o trova il suo riposo o lascia perdere, che tanto di Leopardi ce ne basta uno... quello vero. A noi milanesi piace mica tanto scimmiottare i poeti. Bauscia e ganasa sì, ma qui si preferisce esserlo senza tanta letteratura.

Solo un contraccolpo, forse lieve, ma sincero, mi ha fermata con il naso in su e le chiavi mezze infilate nel cancello di casa.
Come devono aver guardato le stelle Abramo, gli Atzechi, Ulisse, Dante oppure lo stesso Giacomo?
Forse un po' lo so. E, senza paura di essere presuntuosa, proprio per quel piccolo contraccolpo.
Ho provato a guardare lasciando perdere quel poco che già so su stelle, pianeti e compagnia bella, e cosa è venuto fuori?
"Mistero" è la parola.
Però è strano. E' proprio strano perchè se guardo le stelle pensando a quello che già so l'impressione è quella di timbrare il famoso biglietto e... ciao, fine della storia, eccomi di nuovo sul tram in questo viaggio solitario nella mia stanchezza.
Mentre subito dopo aver pronunciato quella parola un po' fuori moda, Mistero, ecco che mi ritrovo a fare un viaggio in compagnia.
Insomma non è che sapere già tutto e avere in mano la definizione delle cose ti rende più sicuro e meno solo e bello riposato.
Sai cosa ti dico? Azzardo: la vera possibilità di risposta alla tua solitudine è lì, nello spazio che lasci al mistero che c'è dentro a tutte le cose.
C'è qualcuno, qualcosa che ti fa l'occhiolino e... cribbio... mica ti lascia tranquillo a guardarti l'ombelico nella tua olimpica e solitaria stanchezza!

Mah... di più non mi viene, Leopardi, Dante e Abramo e soci l'hanno detto meglio, io mi accontento di dare loro ragione, e poi sono stanca morta... ma vado a dormire in buona compagnia.... che dici?!

nottenotte


Buon Natale

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Charles, bring us home!
 I want you all to rise from your seats now please and join us!
Come on now! Here we go!
 Well now, this little light of mine, yeah I'm gonna let it shine
 Well now, this little light of mine, yeah I'm gonna let it shine
Well now, this little light of mine, yeah I'm gonna let it shine
Every day (every day), every day (every day) Every day (every day),
every day (every day) Every day (every day), every day (every day)
Gonna let my little light shine
 Well jesus gave me light (Jesus gave me light),
I'm gonna let it shine (I'm gonna let it shine)
Well now Jesus gave me light (Jesus gave me light),
and I'm gonna let it shine (I'm gonna let it shine)
Well now Jesus gave me light (Jesus gave me light),
I'm gonna let it shine Every day (every day),
every day (every day) Every day (every day),
every day (every day) Every day (every day),
 every day (every day) I'm gonna let my little light shine

la vera resistenza

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Stasera ho bisogno di resistere. Anzi, direi di oppormi, una vera rivoluzione insomma.
Mi attrezzo per resistere alla melma che invade, all'insulto gratuito, al grido arrogante che si sente 'in diritto'.
Alla pericolosa, terribile, oscena mancanza di educazione, dove 'educazione' corrisponde alla parola 'umanità'.
Non faccio esempi, ognuno sa quello a cui mi riferisco, ognuno può vedere intorno a sè il buio e l'orrore di quello che una voce ben più grande della mia ha chiamato 'banalità del male'

Bene, stasera la mia barricata è Bach, la mia bandiera da piantare è fatta di bellezza e silenzio, di musica, attesa e ascolto.
E non l'attesa passiva di chi non ha altro da fare. No. Quella delle sentinelle, dell'amante, del bambino.
Mi oppongo, stasera mi oppongo all'orrore con la bellezza, all'insulto con il perdono, all'ignoranza con l'ascolto e la curiosità.
Accendo una candela.
E attendo il mattino.
Chi vuol farmi compagnia?