con quale oppio si sballano i popoli
Odio e distruzione, pare che il male stia vincendo.
E abbiamo sempre bisogno di un colpevole. D'altra parte non sappiamo farne a meno di invocare giustizia, siamo uomini, siamo fatti così. Questo è il nostro marchio di fabbrica: desideriamo giustizia, amore e verità.
Ma la cosa più pericolosa sono le scorciatoie, troppe volte nella giornata quotidiana e nella lunga giornata che chiamiamo "Storia" abbiamo creduto di trovare bell'e pronta la spiegazione di tutto, una specie di supermercato della ragione, un self-service del cuore: è colpa di...
C'è chi è già partito all'attacco con il "dalli al musulmano". Eccolo lì il cibo precotto per chi non vuole perdere tempo nella cucina della ragione.
Ma costoro non hanno facce o pensieri diversi da chi ringhia contro il cristiano, gli vomita addosso tutto il suo disprezzo o lo vuole morto.
Già, ma non siamo più nemmeno cristiani.
La paura fa novanta.
Così inneggiando alla libertà nella prima strofa della canzone, siamo subito pronti a cantare un ritornello che ci sbugiarda: la religione è l'oppio dei popoli, impedite ai popoli la religione e vivremo in pace.
Così, per scamparla togliamo i crocifissi, togliamo il velo... togliamo questo e togliamo quello, ma non diciamo che è per paura, diciamo che è per 'tolleranza'.
Diciamo che è lo stato laico e liberale.
Balle.
Lo stato laico afferma il diritto, non lo nega.
E' fifa, pura e semplice fifa.
Ed è noto, risaputo e diagnosticato che la fifa si porta dietro l'irrazionale...o davanti, a scelta.
Come è tutto facile per chi ama i centri commerciali dell'anima! Entri e c'è tutto lì. Non hai bisogno di altri criteri se non quello di seguire lo slogan che ti attrae di più.
E così un mondo perfettamente ateo sarebbe il paradiso dell'uomo.
Bene, ora ammettendo che diventare atei fosse possibile vorrei sapere come fare... è un prodotto che mi interessa, in quale banco del mercato si vende?
Posso provare a dire un'ultima cosa?
No, non è una citazione del Papa, nè del Dalai Lama, neppure un versetto del Corano, nè una virgola di qualche salmo. E' una canzone, una canzone del signor Bob Dylan:
alla fine di un variegato elenco di persone e cose ci fa notare che qualcuno dobbiamo servire, e non è un 'dobbiamo' morale, è semplicemente una constatazione.
But you're gonna have to serve somebody, yes indeed
You're gonna have to serve somebody,
Well, it may be the devil or it may be the Lord
But you're gonna have to serve somebody.
Ergo: nessuno è esente dall'oppio, tutto dipende dalla scelta della marca.
Eh sì, temo sinceramente che per quanto ci si metta a voler affermare il proprio ateismo liberatore non ci si riuscirebbe proprio mai a sganciarsi da questo inesorabile destino: vivo perciò servo qualcuno... fosse anche una matita e l'allegra satira blasfema e irriverente, quello sarà il mio dio, fosse anche il mio comodo dormire mentre fuori da casa mia si uccidono, il mio culo nel burro sarà il mio dio, gli fornirò le armi a prezzo stracciato basta che mi permettano di continuare ad adorare il mio comodo dio progressista e culturalmente avanzato.
Quello che solamente oso sperare è che mi sia permesso affidarmi ad uno buono, che non mi pigli per il culo, mi ami davvero e che mi lasci la facoltà di ragionare.
Comunque anche se non me lo permetteranno, e malgrado la mia provata idiozia, io ci proverò lo stesso... e vuoi vedere che non sia questa la cosa che assomigli di più alla Libertà?
di cosa la maestra non ha proprio bisogno...
Bene, sappiate che la maestra non ne ha per niente bisogno.
L'avreste mai detto? Cavoli, ma invece è proprio così.
Quando la maestra andava a scuola, e non era ancora la maestra, il regalo da parte di tutte la famiglie, quello con annessi mugugni e sottoscrizioni a collotorto, era un affare da fine quinta.
Ricordo che mamma e babbo rimasero un tantinello umiliati nel sentire la proposta addirittura di una lavatrice...tiravamo alquanto la cinghia, e i soldi per la nostra quota proprio non li avevamo.
Per fortuna la mia maestra, donna pratica e senza tante smancerie, si arrabbiò e proibì categoricamente ogni forma di ossequio forzato. Allora i genitori ci credevano ancora che la maestra corregge perchè è il suo mestiere e non perchè è "stronza e ce l'ha su con mio figlio".
Obbedirono. Tutti. Sì... i genitori obbedirono alla maestra.
Volete che lo ripeta? Che usi ancora questa parola perchè non siete sicuri di aver letto bene?
I genitori, quelli di una razza ormai estinta come i dinosauri, i genitori obbedirono alla maestra, senza protestare o, peggio, spettegolare.
I miei tirarono un sospiro di sollievo e optarono per la classica scatola di cioccolatini, segno tenerissimo e inequivocabile per loro di gratitudine sincera e lusso sfrenato.
Ma, ahimè, quando la maestra qui presente lasciò il proprio banco di scuola per spostarsi appena di qualche metro dietro la cattedra, era già arrivata la moda del regalo natalizio e di fine anno... di ogni benedetto anno.
Non faccio elenchi, dico solo che ne ho viste di tutti i colori. Dalla targa in ottone del peso di tre chilogrammi sani sani con incisioni in "stile vario", alla guepière in pizzo nero. Di questa vado molto orgogliosa perchè mi ricorda la scoperta in me di una saldezza di nervi inaspettata: scartarla davanti ad un uditorio di una quarantina di genitori senza capacità di discernimento, che si aspettano da te un ossequioso ringraziamento, e farlo senza commenti audiovisivi... bè ci vuole più audacia che a indossarla, ve lo assicuro.
Ci è voluto del bello e del buono per far intuire ai molti che le maestre non sono esseri strani che pensano solo alla scuola e ai pargoli, povere creature che non hanno tempo e denaro per andarsi a comprare quel che a loro serve.
Hanno uno stipendio, sempre più ridicolo va bè, ma che non ha bisogno di essere squallidamente arrotondato con le munifiche elargizioni natalizie tradotte in oggettistica varia.
Siamo quindi arrivati all'epoca del "che cosa ha bisogno la classe?". Che a volte ti veniva da rispondere: "di una classe". Nel senso di un'aula decente, che non ci piova dentro, che abbia banchi sani e di misura idonea, di una lavagna intera, gessi e carta igienica. Ma col tempo ho capito che questo equivaleva a domandare l'impossibile. Vi state chiedendo se insegno nel terzo mondo vero? No, in una normalissima scuola pubblica di una grande città italiana del nord... che differenza c'è? Che nel terzo mondo alla scuola ci tengono.
Non è finita.
Si è passati alla domanda "che regalo facciamo ai bambini?" E anche qui la risposta sarebbe stata delle più semplici e faticose al mondo: "di adulti che sappiano cosa vogliono". Ok... lasciamo perdere, roba da orpelli bizantini per le nostre povere menti votate al teleschermo.
Capisco e non biasimo chi semplicemente vuole ringraziare una persona di cui ha sincera stima, perciò a chi voleva le cose in grande ho consigliato di fare una donazione a qualsivoglia opera caritativa.
Ma se proprio volete dire grazie alla maestra... ragazzi... portatele una margherita come quando eravate piccoli, e ne facevate un mazzolino ciancicato da mettere nel bicchiere sulla cattedra e, soprattutto, non distruggete agli occhi di vostro figlio l'autorevolezza dell'adulto che sta insieme a lui più di quanto non ci state voi, è un regalo a voi stessi, prima che alla maestra.
Lo so, è difficile, ma non c'è bisogno d'altro.
Buon Natale
Al bar si muore
Circa duemila anni fa carrettate di cristiani erano la colazione di quattro leoni al circo, oggi si segnano le porte delle case dei cristiani in Iraq: che sia ben visibile il posto dove abita una famiglia da far fuori. Si condannano a morte madri di famiglia solo perchè non vogliono bruciare incenso al nuovo imperatore.
Secoli fa partivano navi stipate di schiavi, indicibile commercio, vergogna dell'umanità. Oggi arrivano barconi stracolmi di povera gente che paga a caro prezzo la vita che è un diritto di tutti.
Sono solo due dei mille orrori di cui siamo capaci, siamo, sì, siamo: noi. E so che scandalizza questa parolina che coinvolge tutti, perchè a noi ci piace pensare che "noi non c'entriamo...noi...? Noi un corno che adesso mi tocca anche sentirmi responsabile..."
Ma io non posso rassegnarmi che la storia e il tempo non servano a niente.
Ecco, forse questo ripetersi terribile del male, questo orrore quotidiano che non ci si può neanche tappare occhi e orecchie per cancellarlo, che sembra che Dio sia una parola più simile ad un'offesa che a un conforto...tutto questo non fa che chiamarmi, urgere una risposta.
Che il tempo da solo non ci fa diventare buoni in automatico che è finita l'ottusa illusione del progresso. Che noi si vorrà anche il bene e la pace, ma non c'è bene nè pace se io non sono coinvolta.
E che se anche nel mio piccolo spazio che chiamano scatola cranica sono consapevole di non aver voluto io quegli orrori...bè, non è una buona ragione per non sentirmici dentro fino al collo, non fosse altro che per questa immensa e fastidiosissima sensazione di impotenza.
Che non è l'innocua e comoda impotenza di non poter salvare quelle vite, è molto, molto di più: è la fiacchezza quotidiana, lo stillicidio di sentirsi capaci di male, indifferenza, cattiveria, quel piccolo, insignificante male giornaliero, quella dannata ferita che grida la tua incapacità che ti fa continuare a stortare la cosa che vorresti dritta.
Non è questione di misura, il male è male, la cattiveria è cattiveria e guai a chi ne sottovaluta la banalità: ne sono state riempite centinaia di camere a gas.
Stasera va così, la storia mi serve, il tempo è amico per imparare e non smettere di desiderare il bene, ma non vanno lasciati passare senza la mia presenza... questo è quello che credo, perchè anche stasera si muore nel nostro bar... e che? vogliamo continuare a giocare a carte e bere birra credendoci invincibili? Come bambini che non hanno ancora incominciato a vivere.
Partecipo per vincere...
Gli incontri e le partite mi servono per ricordarmi che qualcosa c'è per cui sputare sangue, io corro per vincere, incontro per arrivare...altrimenti andate a bussare alla bacheca di qualcun altro. Facebook e Twitter e tutti i social del momento non sono altro che pollai, l'ultimo post non è altro che il piolo più alto della relativa scala...e non starò certo qui a spiegare come è fatta la scala di un pollaio. Perciò siamo solo galletti che per farsi sentire al massimo riescono a stonare dentro a un coro, per fare i solisti ci vuole altro, e non certo ripetere a pappagallo senza ragionare su quel che si dice.
Sete di bellezza
Scopri allora che davanti a un quadro non usi solo gli occhi, ci stai fino a che non è il quadro a stare davanti a te. Un' immersione insomma. Da gustare in silenzio.
Per questo non mi piacciono le corse nei musei, a tutti i costi vedere tutto, le mostre affollate, il chiasso e la moda delle mostre 'alla moda'.
Però...però...
Ci sono posti e situazioni che favoriscono, ma sono sempre una sorpresa.
Ascolteresti mai un pezzo di Bach o Beethoven o Mozart in mezzo al casino? Però quando metto un cd classico a scuola, i pargoli abbassano la voce...
E i Pink Floyd o Springsteen? L'emozione di sentirli in uno stadio è imparagonabile...ma che mi dici quando sei da solo in macchina, con i bassi ben regolati?
E le poesie? Szymborska per esempio l'ho scoperta sul...tram.
Dante l'ho conosciuto sui banchi di scuola ma l'hanno anche declamato ai crocicchi delle strade.
La bellezza di un albero fiorito può sorprenderti quando aspetti al semaforo, e gli occhi profondi di qualcuno guardarti attraverso la vetrina di un bar mentre passi con la bici.
Certo, la bellezza ha i suoi luoghi privilegiati. Va protetta, curata, cullata, favorita. Ma la sua nobiltà, la verifica, la prova della sua verità è che rimane bellezza anche in mezzo al fango, è così 'di tutti' che non si lascia schiacciare da nessuno. E allora? Qual è il problema?
E' tutto nel mio sguardo e nella mia sete. Solo se non sono distratto io posso essere sorpreso e così, anche in mezzo alla folla e alla confusione accusare il colpo, cadere ferito da un'improvvisa gratuita bellezza. Non fare lo schizzinoso e lo snob, non è il luogo e nemmeno la circostanza 'ideale' a farti godere delle cose: è solo la tua sete.
La bellezza, davvero, è per gli insoddisfatti.
Come una goccia sulla pietra calda...
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gloria


"Il male del mondo non è finito e noi tutti lo possiamo fare" cantava un mio amico.
Di cosa sto parlando?
Del punto centrale, almeno per quanto ne capisco, del punto centrale del film di Margarethe Von Trotta "Hannah Arendt".
Nell'interrogatorio al nazista Eichmann ci sono parole che mi hanno fulminata. Ho sentito un contraccolpo sordo alla bocca dello stomaco: ho scoperto con orrore la familiarità di certe affermazioni: "non ci si può opporre, di fronte agli sconvolgimenti della storia, una azione libera non avrebbe successo, sarebbe come una goccia sulla pietra calda" come dire
"una goccia nel mare" giustifica la sonnolenza della coscienza, l'ignavia, giustifica le pantofole e la poltrona del piccolo borghese. Che male c'è? Che male c'è? Dio mio, l'orrore più grande è non vedere più l'orrore!
Ecco dove si trastulla l'infamia: nella nostra "saggezza".
Quante volte? Quante volte mi sono sorpresa a pensare davanti ad un compito difficile, davanti ad un bambino che continuava a sbagliare, alla scuola che non funziona, alla politica che fa schifo, al rubinetto che perde..."che ci vuoi fare? è inutile, sarebbe come una goccia nel mare", così... parole per andare via tranquilla.
Non si tratta neppure di mancanza di coraggio, è proprio rinunciare ad essere umani, o, come diceva Hannah "rinunciare al pensiero". E qui chi si intende di filosofia potrà parlarmi della comparsa nella storia del concetto di persona, il sorgere di un'alba nuova nel cammino dell'uomo.
La certezza di tutti è che con le ideologie l'uomo, con la sua capacità di pensiero oltre che con la sua carne e il suo sangue, è stato calpestato, usato, torturato... ma ora ne sono sicura: non è finita.
Certo, non solo perchè al mondo ci sono ancora campi di concentramento, gulag, violenza ma perchè è diventata sistematica, alla moda, tranquillamente sostenuta, propagandata, ammirata, resa protagonista delle prime serate televisive quella orrenda saggezza del chiamarsi fuori dal coro; e non per rimanere soli davanti al tribunale della propria coscienza, no, per intrupparsi in altre giustificazioni collettive "organizzate gerarchicamente" perchè... a che mi serve essere libero, solo con la mia coscienza? Tanto sarebbe come una goccia sulla pietra bollente.
E allora ci costruiamo tante belle camerette a gas, dove soffocare il dolore, il disagio, la malattia, la diversità... tutte quelle faccende scomode insomma che risvegliano quella cosa che ci fa tanto uomini: il pensiero.
E così mi sono chiesta: che cosa c'entra con me il signor Eichmann?
Che cosa c'entrano, per esempio, le sue orride parole con il fatto che fra poco si va a votare per l'Europa?
Qual è l'Europa che voglio?
Quella della persona e del pensiero umano o quella che ha inventato e si trastulla ancora con la banalità del male?
P.S.
e, giusto per ricordarlo a me stessa, ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che anche a me ha detto "ti auguro di non rimanere mai tranquilla".
Non fosse altro che per queste parole ho l'ardire di chiamarlo padre mio. Potessi esserne degna... almeno usando la mia facoltà di pensare.
Smisurata sproporzione
Questi sono giorni di un altro distacco, forse più lento ma non meno inarrestabile.
Mamma si sta spegnendo come una candelina, giorno dopo giorno. Ma è grandioso quel che accade, questa nonna è una forza della natura, dimostra un vigore ancora più grande di quell'enorme ghiacciaio. Una implacabile e smisurata sproporzione tra noi e quello di cui è capace la natura. Dove natura sta per Mistero: qualcosa di sconosciuto che abbiamo sempre l'impazienza di definire, afferrare, catalogare. Ma in cui però siamo affondati dentro, ricoperti, ne siamo circondati, ne siamo fatti, è la nostra stessa stoffa.
Una donna e il ghiacciaio dicevo.
Ma la lotta che sta conducendo mamma si dimostra ancora più imponente. La mia cara lottatrice fragile, che più si abbandona più dimostra la sua grandezza. E' un ghiacciaio la mia mamma, un vulcano in eruzione. Un pugile sul ring. Un quarterback all'ultima meta.
E noi così piccoli che possiamo fare di fronte a questa corsa accanita? Guardare e accudire. Sì, accudire. Perchè forse i cataclismi in natura a volte possono essere conseguenza della nostra incuria. Nello stesso tempo sappiamo però che non sono le nostre cure a decidere il destino, e allora dobbiamo attentamente guardare. Riempirci gli occhi di quei movimenti, di quell'andare perchè la cosa migliore da imparare...forse, dico...forse... è quella sproporzione sana che ti fa dire "non sono io il padrone".
E se non sono io a fare quel che c'è vuol dire che pensarmi sola è irragionevole.
Ecco, se sto attenta sento, mi accorgo che lì inizia la gratitudine e lo stupore, proprio lì, insieme a una pacifica dolcezza, in mezzo a un dolore grande.
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