Ospizio
Ora non è più così. Il 'Pio Albergo Trivulzio', si proprio quello, passato alle cronache di tutta Italia come l'emblema di una stagione di vergogne di altro genere, l'inizio delle cosiddette 'mani pulite', quando il legittimo desiderio di giustizia ha iniziato a costruire gogne e forche senza saper distinguere colpevole da innocente.
Quel 'Pio Albergo', con buona pace di tutti gli onesti e i disonesti, è cambiato decisamente in meglio, forse non 'il' meglio... ma è cambiato.
Comunque, per quanto migliore, pur sempre di ospizio si tratta.
Adesso dicono 'casa di riposo' con la solita stolta illusione che il solo cambiamento delle parole basti a trasformare la realtà.
Io continuo a chiamarlo Ospizio, ricordando che il seme di questa grande parola sta nell'Ospitalità. C'è differenza? Eccome! Per andare a riposarmi in una casa posso essere anche da sola, l'ospitalità implica una compagnia: l'ospitato e colui che ospita, chi accoglie... io con te.
Ero andata a trovare una nonnina, sola al mondo, quasi centenaria. Lo scricciolo si muoveva in quegli stanzoni come fosse a casa sua. C'era tizia da aiutare perchè non riusciva più a mangiare da sola, caio che aveva bisogno di essere ascoltato, un'altra amica che, non potendo andare a messa, chiedeva la comunione. Sempre qualcosa da raccontare, sempre una preghiera da dire per qualcuno, sempre qualche piccolo regalo da tirar fuori da quel comodino pieno di immaginette e libri sacri, ma anche di biscottini e quella tal bottiglia di amaro, tenuta in serbo per l'amica che capitava a trovarla una sola volta all'anno.
La signorina Ines aveva sempre un gran da fare. Piena di anni, di bene e di preghiere.
Un affetto delicato e tremante in quelle manine mai ferme. Sola al mondo e capace di abbracciarlo tutto, quel suo povero mondo chiamato Baggina, lo spauracchio di tutti i vecchi milanesi.
Ero andata con la mia amica Rita. Era la prima volta che entravo lì dopo che ci era capitato a morire il mio nonno, tanti anni prima.
Ho guardato in silenzio la signorina Ines, l'ho ascoltata, l'ho sentita ridere e parlare delle sue amiche, ricordo sempre discorsi sui bisogni degli altri, non una pretesa per sè, neanche una.
Non un lamento, neanche verso i capricci della fastidiosa compagna di camera.
Venuta l'ora di andare, ci siamo incamminate verso la macchina, ma al cancello, senza nessun preavviso, sono scoppiata a piangere come una fontana, uno di quei pianti che fanno i bambini, con singhiozzi annessi.
Ma perchè? Chi erano per me tutti quei nonni lì dentro?
Chi era per me la signorina Ines?
Dopo qualche tempo ho capito, ho rivisto tutto come in un film... chi avevo visto trotterellare là dentro se non Gesù Cristo in persona? No, non sono una visionaria, lo giuro. Quella donna era letteralmente la carezza di Cristo per tutta quella gente. Cristo che piange con i piangenti, che soffre con i sofferenti, che aspetta un conforto, che si fa demente con chi non sa più di essere al mondo.
Neppure lei sapeva di essere la faccia di Dio, ma io quel giorno ho sfiorato il mantello di Cristo... e tutti quei nonni, tutti, siamo noi, e mica come metafora, no, no, realmente, siamo noi che abbiamo bisogno della piccola ciabattante signorina Ines che ci accarezza con la mano di Dio, un Dio che non sta nell'alto dei cieli, ma qui, a vivere la nostra stessa identica miseria.
Era un pianto di stupita gratitudine... ancora oggi.
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