...anni fa (3)
Capelli arruffati e color della cenere, occhi nerissimi, accesi, due carboncini ardenti che... stai attenta perchè ti possono scottare!
Sorriso limpido e sempre pronto, lì, agli angoli della bocca, ma non regalato inutilmente... bello insomma. Lorenzo era così, la semplicità della parola: bellezza.
Un’occhiata: Anna e Daniela avevano già capito. Un istante. Mentre per Elena ci sarebbe voluto ancora del tempo, avrebbe riconosciuto e, forse, accettato.
‘Finalmente Elena! Mi fai incontrare le tue famose amiche del cuore!’
‘Scemo! Non so quante volte l’ho invitato, ma lui fa sempre il prezioso, con tutti i suoi impegni da intellettuale!’
‘Dai, tagliamo corto! Io sono Lorenzo, amicissimo di Elena daaa... l’asilo forse?!’
E lo dice piegando un po’ le ginocchia, guardando Elena da sotto le ciglia.
‘E come mai allora non ci siamo conosciuti prima?’ domanda Daniela come chi si accorge vagamente di un’occasione perduta.
‘Bè, per alcuni anni ci siamo trasferiti a causa del lavoro di mio padre. Abbiamo girato un sacco, poi siamo tornati e siamo andati via di nuovo. Un casino insomma. Ma adesso mi sono imposto, e l’università me la faccio tutta qui, loro vadano dove vogliono adesso...’
‘Che studi?’
‘Non hai visto la sua testa quadrata? Non poteva che fare ingegneria!’
‘Bisogna sfatare questo mito degli ingegneri 'rigidoni'...! Io ho una mente flessibile e duttile!’
Che anni quegli anni!
Se gliel’avessero chiesto avrebbero detto senz’ombra di dubbio: ‘non moriremo mai’.
Eppure così incerti, sempre con quella sensazione di essere sui blocchi di partenza... e non partire mai.
Aspettare con ansia lo sparo del via, mani sudate e muscoli tesi allo scatto.
Guardarsi intorno e vedere gli altri, strano, tutti gli altri, rivolti ad una diversa direzione, convinti, certi, che fosse quella giusta. Fino a che non avessero alzato lo sguardo, interrogandosi in silenzio: ‘ma perchè di là?’
Forse speravano che, come passando un archetto sulle lettere sparse dell’alfabeto magicamente appare una parola, per divinazione avrebbero letto negli occhi di qualcosa o, meglio qualcuno, il nome della loro prossima felicità.
No, certe debolezze erano ormai solo il rumore della risacca di una adolescenza ancora troppo vicina.
Qualcuno di loro aveva già la presunzione di aver capito. Occhio di falco prendeva la mira e presto, molto presto si sarebbe sperato, avrebbe scoccato le frecce dei sogni per correre e sudare sull’asfalto della vita reale.
Lì, su quell’asfalto, al caldo torrido del dolore, bevendo alla sorgente della libertà, si sarebbero sciolte le presunzioni per lasciar posto alle umili certezze da uomini veri.
Ma adesso era tempo di andare a mangiare gelati, era tempo di libri e parole usate come trampolini di lancio. Troppo pieni ancora di discorsi, così meravigliosamente svegli di attesa.
Eppure il tempo, qualcuno di loro l’aveva già sentito mordere.
I giorni passano, le settimane, i mesi. Sembra sempre tutto uguale, i giorni come i granelli di sabbia nella clessidra: puoi lasciarli scivolare dalla fessura della tua vita senza muovere un muscolo, oppure decidere che li prendi in mano e ci lavori sopra. Ma per lavorare ci vuole una spinta, un progetto. Per lanciare frecce devi individuare l’obiettivo.
Di solito si trovavano in gelateria, quella vicino ai giardinetti. Un cono e poi la panchina. D’inverno c’era la cioccolata a casa di Elena. La discoteca era una cosa per chi aveva soldi e poca voglia di parole. Per ballare, scatenarsi e... qualcos'altro, c'erano le feste popolari, le cantine e i garage dove suonavano gli amici, oppure, se avevi il colpo di fortuna di qualche soldo in tasca, i concerti allo stadio, o una serata in qualche birreria sul Naviglio, quando la zona non aveva ancora perso la sua natura genuina per diventare spocchiosa e 'sciatto-scic'.
A Maggio c’è già aria d’estate, se il tempo è d’accordo, e la panchina non è ancora occupata dalla coppietta di turno.
Ci sono i ragazzini col pallone, ma le urla non danno fastidio. Le finestre aperte lasciano sfuggire le note di qualche sigla alla tv: giochi senza frontiere, che interessa solo alle nonne e ai nipoti più piccoli. La vita è fuori... forse. Strade di un quartiere popolare.
‘Che c’è Elena?’
‘Mi manca mia madre’
‘Mi spiace, davvero, manca a tutti noi, ma per te ...’
Tanto studio, tanti discorsi che ti piace declamare per fare l’intellettuale... e poi quando ti servono davvero le parole, fai la figura del pirla...
‘No, non è che mi manca in quel senso.... non so, quasi mi vergogno a dirlo... mi manca perchè adesso devo pensare a tutto io. Mio fratello non ha ancora realizzato, certe volte mi sembra così irresponsabile... così.... fuori. Nelle cose banali, mi manca nelle cose banali: lavare, stirare, fare la spesa, far quadrare i conti.’
Le cose ‘banali’ sono la vita, ma era un’età in cui la vita sembrava ancora e solo quella stampata sui libri.
‘Sai una cosa Elena?’
Lorenzo si guarda la punta delle scarpe, sempre si guardava la punta delle scarpe quando parlava seriamente; e le parole uscivano piano, come andandole a cercare sotto le suole.. era buffo, serio, ma buffo.
‘Un mio amico mi ha detto un giorno che non c’è niente di banale, perchè il significato della vita o sta dentro anche il più piccolo filo d’erba, oppure non hanno significato neppure il mare e il cielo’
Silenzio.
Nessuno ha più voglia di ridere. Non che siano parole tristi... è che ci devi pensare a certe cose. Devi dargli tempo di entrare dalle orecchie, fare il loro percorso fino alla mente, farle masticare dal cuore per saggiarne il grado di verità.
Perciò: silenzio.
‘Si, Lorenzo, tu dici bene, forse. Ma io questo significato non l’ho mica ancora trovato neppure nel mare e nel cielo... figurati se lo trovo nel mucchio di roba di mio fratello da stirare! Mentre lui va in giro con gli amici e se ne frega e io neppure ho il tempo di studiare... io ci trovo solo nervoso e impazienza!’
Untitled
(feast of love)
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Talento
Troppo spesso ci si ritrova a dar ragione ad una sciocca convinzione per la quale creativo è uno sghiribizzo nuovo, la rivoluzione dell'autonomia, il potere dell'istinto e la benedetta e maledetta 'ispirazione'... si, il coniglio nel cilindro!
Ma chi riesce ad essere creativo con qualcosa di già fatto? E quasi perfetto in sè... oltretutto!
Facile scorrazzare dove si vuole, ma prova ad essere libero tra le stanghe di un recinto!
Naaaaa! Dietro la creatività c'è un umile sudore, forse talento, ma uno che non ci lavora sopra, il suo talento è buono per fare merendine.
Ecco, questi tre signori suonano e cantano lo stesso pezzo, ma ognuno ci ha lasciato su il proprio marchio. Questa è quella che io considero libertà: essere sè stessi anche dentro un mare di limiti.
la cosa più difficile del mondo...
E siccome a me piacciono le persone che danno scandalo... ne ho scovata una con i fiocchi!
Si chiama Eva Mozes Kor. Reduce da Auschwitz, scampata agli esperimenti genetici del famigerato dottor Mengele... che ti verrebbe voglia anche di non scrivere la maiuscola del cognome... Questa donna, sì, questa donna ha osato perdonare. Dico 'osato' perchè questo gesto le ha tirato addosso non poche accuse gratuite.
C'è da comprendere, anch'io oso giudicare, non in virtù di una esperienza di dolore, ma semplicemente perchè ho un cuore e una ragione da essere umano... c'è da comprendere le ragioni di tutti, certo... anche di chi dice no con tutte le sue forze, le ragioni della rabbia... ma và da sè il capire da che parte sta il vero eroismo, perchè è di questo che si tratta.
Ho visitato Auschwitz. In silenzio. E' un'esperienza che tutti, tutti dovrebbero fare, in silenzio. Appena entri ti si chiude la bocca dello stomaco e ti si secca la bocca... davvero non ho più parlato, fino ad alcune ore dopo esserne uscita.
Agghiacciante non è stato vedere le baracche di legno dove erano stipati esseri umani come fossero animali, terribile non è stato vedere la ricostruzione dei forni crematori.
Due cose di Auschwitz mi hanno messo ko: le montagne di spazzolini da denti, di valigie, di scarpe raccolte e accatastate in grandi stanze, e la cella dove è morto padre Massimiliano Kolbe.
Le prime mi hanno dato la tangibile misura della tragedia, dietro ogni piccolo spazzolino da denti c'era la vita piccola e immensa di una persona, di un essere umano infinitamente prezioso e unico.
La seconda, la cella piccola e scura, chiusa da un cancello ruvido e nero, non aveva un millimetro libero del pavimento, era coperto, letteralmente coperto di fiori freschi, sempre freschi, tutti i giorni.
Così, se prima ero dominata dalla rabbia, dopo aver visto quella cella le uniche parole che hanno attraversato la mia testa erano parole di preghiera. Quell'uomo, anche lui piccolo e immenso, ha reso possibile una cosa scandalosa ma necessaria, necessaria per la pace di tutti, necessaria perchè la vita non si attorcigli sulla vendetta, pur rimanendo legata alla indelebile memoria.
La pace non sta nel vendicarsi, nemmeno sta nella dimenticanza, la pace vera sta nel perdono. Davanti alla cella di padre Kolbe non puoi non pensare che l'uomo ha bisogno di riscatto, e non solo l'uomo vittima, ma anche l'assassino, il carnefice. Perchè se non cambia anche il carnefice, l'uomo non ha scampo.
E' scandaloso? Sì, è scandaloso. Ma prima di me, più grandi di me hanno usato parole che dovrebbero essere lette come al di là di ogni sospetto.
Queste le parole della signora Eva Mozes:
«Quando Münch (medico nazista) firmò un documento ufficiale che sfatava, una volta e per tutte, l’imperversante tesi negazionista, ebbi un’epifania. Il miglior regalo che potevo fargli per ringraziarlo era il perdono». Quella risoluzione la fa sentire tanto sollevata e felice che da lì a poco decide di estenderla a tutti i nazisti, Mengele incluso. «Improvvisamente capii di avere un tale potere, come individuo, da riuscire a perdonare persino il Dio di Auschwitz. Scoprire dentro di me questa forza mi ha guarito l’anima, affrancandomi dalle catene di una vita di vittimismo, impotenza e depressione. Per la prima volta mi sono sentita una donna completamente libera». La Kor insiste che il perdono non ha nulla a che fare con il carnefice: «Il tuo aguzzino - spiega - non deve avertelo chiesto, è una medicina che serve solo a guarire la vittima». Ciò nonostante, le sue tesi hanno creato un putiferio tra i sopravvissuti e gli studiosi dell’Olocausto, le cui voci sono ampiamente registrate nel documentario. «Sei una traditrice - l’accusa ad un certo punto Jona Laks, una delle gemelle torturate da Mengele -. Perdonare equivale a dimenticare». «Chi sei tu per arrogarti il diritto di parlare a nome di sei milioni di morti?», le chiede uno storico, dandole dell’«eretica, folle e pericolosa». «Questa - ribatte lei - è la mia amnistia personale. Parlo solo a nome mio, perché il perdono è un atto privato quanto la chemioterapia per un malato di cancro. Io non posso sottopormi al trattamento al posto di un altro. Ognuno deve farlo per sé».
Corriere della Sera
18/05/2006
le armi di Davide
Proprio quel Davide lì, quello che ammazza Golia con la fionda, che frega tutti i Filistei davanti ad un attonito Saul.
Ho riascoltato questa mattina il racconto di questo ragazzetto un po' spavaldo. Eccone alcuni passi, quelli che più mi hanno colpita:
"Ma Davide disse a Saul: «Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l'afferravo per le mascelle, l'abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l'orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha insultato le schiere del Dio vivente».
Davide aggiunse: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell'orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Ebbene va' e il Signore sia con te». Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e gli fece indossare la corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l'armatura, ma cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato.
Allora Davide disse a Saul: «Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato». E Davide se ne liberò. Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nel suo sacco da pastore che gli serviva da bisaccia; prese ancora in mano la fionda e mosse verso il Filisteo. Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva.
Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell'aspetto. Il Filisteo gridò verso Davide: «Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi. Poi il Filisteo gridò a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche». Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l'asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele, che tu hai insultato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e staccherò la testa dal tuo corpo e getterò i cadaveri dell'esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele.
Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia, perché il Signore è arbitro della lotta e vi metterà certo nelle nostre mani». Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento incontro al Filisteo. Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte.
La pietra s'infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra e lo colpì e uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga."
Spavaldo, sì, ma non uno spaccone. Di quali armi si fidava il ragazzo? Forse anche della sua fionda, forse anche della sua esperienza, ma quale esperienza in definitiva?
Quella di essere già stato salvato altre volte. E se Dio l'ha salvato dal leone e dall'orso che sono animali senza coscienza, quanto più lo salverà da questo gigante zoticone che osa offendere il 'Signore degli eserciti'?
Davide non mette mai davanti la propria abilità, ma la fiducia in un altro che si è già dimostrato affidabile. Davide non è cieco, è un ragazzo intelligente. Golia mica perderà perchè 'sono più bravo io'... Golia perderà perchè semplicemente ha torto e ha osato offendere chi è più forte di lui.
Occhio acuto, mira infallibile, agilità e scatto... no, non sono queste le sue doti principali, il suo coraggio non si dimostra nella sfida gettata a Golia, ma in quella che accetta da Dio stesso: 'Ehi, ragazzo! Ti fidi o no che io so vincere ancora una volta?' E li stupiranno con effetti speciali, quelli più speciali: 'zero tituli'!
Ci vuole più coraggio a contare su di un altro che non sulle proprie forze... garantito!
Di un altro e della propria esperienza; non rifiuta le armi di Saul prima di averle provate, non ha preconcetti, ma neppure è passivo, per esperienza sa che con lui non funzioneranno.
Ed è buffissimo immaginarlo camminare goffamente dentro quell'armatura così preziosa e così inutile... giusto per far contento il suo re, giusto per tener conto di tutti i fattori.
Per questo tra le immagini che rievocano la figura di Davide, quella di Michelangelo proprio non mi convince. Sì, perfetto, non c'è un muscolo fuori posto ma... scusate l'orrenda eresia... io quello me lo vedo meglio come modello in un negozio di Abercombie, uno che se la tira alla grande insomma!
Davide è davvero un ragazzo, stupito di quello che le sue mani riescono a fare, certo delle sue doti è vero, ma più certo della forza di un altro, perchè sa che le doti non bastano, sa che sono date, appunto, da un altro. E' la certezza di un bambino, un bambino orgoglioso e spavaldo per mano a suo padre.
Ecco allora il Davide a cui penso io. E ancora una volta: Caravaggio.
Ho riascoltato questa mattina il racconto di questo ragazzetto un po' spavaldo. Eccone alcuni passi, quelli che più mi hanno colpita:
"Ma Davide disse a Saul: «Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l'afferravo per le mascelle, l'abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l'orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha insultato le schiere del Dio vivente».
Davide aggiunse: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell'orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Ebbene va' e il Signore sia con te». Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e gli fece indossare la corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l'armatura, ma cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato.
Allora Davide disse a Saul: «Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato». E Davide se ne liberò. Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nel suo sacco da pastore che gli serviva da bisaccia; prese ancora in mano la fionda e mosse verso il Filisteo. Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva.
Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell'aspetto. Il Filisteo gridò verso Davide: «Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi. Poi il Filisteo gridò a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche». Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l'asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele, che tu hai insultato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e staccherò la testa dal tuo corpo e getterò i cadaveri dell'esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele.
Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia, perché il Signore è arbitro della lotta e vi metterà certo nelle nostre mani». Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento incontro al Filisteo. Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte.
La pietra s'infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra e lo colpì e uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga."
Spavaldo, sì, ma non uno spaccone. Di quali armi si fidava il ragazzo? Forse anche della sua fionda, forse anche della sua esperienza, ma quale esperienza in definitiva?
Quella di essere già stato salvato altre volte. E se Dio l'ha salvato dal leone e dall'orso che sono animali senza coscienza, quanto più lo salverà da questo gigante zoticone che osa offendere il 'Signore degli eserciti'?
Davide non mette mai davanti la propria abilità, ma la fiducia in un altro che si è già dimostrato affidabile. Davide non è cieco, è un ragazzo intelligente. Golia mica perderà perchè 'sono più bravo io'... Golia perderà perchè semplicemente ha torto e ha osato offendere chi è più forte di lui.
Occhio acuto, mira infallibile, agilità e scatto... no, non sono queste le sue doti principali, il suo coraggio non si dimostra nella sfida gettata a Golia, ma in quella che accetta da Dio stesso: 'Ehi, ragazzo! Ti fidi o no che io so vincere ancora una volta?' E li stupiranno con effetti speciali, quelli più speciali: 'zero tituli'!
Ci vuole più coraggio a contare su di un altro che non sulle proprie forze... garantito!
Di un altro e della propria esperienza; non rifiuta le armi di Saul prima di averle provate, non ha preconcetti, ma neppure è passivo, per esperienza sa che con lui non funzioneranno.
Ed è buffissimo immaginarlo camminare goffamente dentro quell'armatura così preziosa e così inutile... giusto per far contento il suo re, giusto per tener conto di tutti i fattori.
Per questo tra le immagini che rievocano la figura di Davide, quella di Michelangelo proprio non mi convince. Sì, perfetto, non c'è un muscolo fuori posto ma... scusate l'orrenda eresia... io quello me lo vedo meglio come modello in un negozio di Abercombie, uno che se la tira alla grande insomma!
Davide è davvero un ragazzo, stupito di quello che le sue mani riescono a fare, certo delle sue doti è vero, ma più certo della forza di un altro, perchè sa che le doti non bastano, sa che sono date, appunto, da un altro. E' la certezza di un bambino, un bambino orgoglioso e spavaldo per mano a suo padre.
Ecco allora il Davide a cui penso io. E ancora una volta: Caravaggio.
...e Parigi?
La prima volta l'ho vista che ero bambina... forse è per questo che non mi fa soggezione.
Che profumi ha Parigi per me!
Prima di tutto la baguette, calda e croccante del mattino. Gli occhi ancora un po' chiusi e appiccicosi, tazzona di caffelatte, marmellata e formaggini, cilindretti morbidi dal sapore un po' acido... délicieux!
Finito il petit dejeuner, pigro e profumato, si esce!
Oggi non andiamo per musei, oggi no. Oggi andiamo in giro con il naso all'aria come segugi, a raccogliere ricordi 'sensuali'... e dove meglio che in questa città?
Le strade sono piene di gente indaffarata e chiacchierona. Se gli italiani gesticolano con le mani, i francesi lo fanno con la bocca! Mi ha sempre fatto ridere ripetere 'ouì monsieur' mettendo le labbra a 'culo di gallina'.
La cosa divertente è vederli discutere seriamente... con quelle boccucce da bamboletta!!
Le strade allora... di mattina... bagnate, anche se splende il sole, sono bagnate. I rigagnoli scorrono lungo i bordi dei marciapiedi, e devi stare attenta ad attraversare... splash!
Profumo di caffè e croissant... lo so, ho già fatto colazione! Ma è irresistibile il richiamo!
Non azzardatevi a chiedere un cappuccino a Parigi! Non siamo in Italia, qui è una cosa... esotica, con relativo prezzo moooolto esotico! Ma il croissant! mmmmmm! caldo, cuore giallo e morbido, crosta abbronzata e croccante, leggermente glassata... la parola c'è ma non la dico!
Passeggiare per le strade di Parigi e sentirsi a casa. Ti guardi intorno e pensi agli occhi che hanno visto quello che ora vedi tu e che te l'hanno resa familiare... facciamo un po' di nomi? Bè potremmo compilare un elenco telefonico, oppure fare a gara a chi ne trova di più...
Le vetrine attirano, ma quelle più piccole, un po' stravaganti, orientali. Escono profumi speziati, ed io li seguo come fossero il flauto magico... cannella, artemisia, zenzero... ma anche muschio e lavanda.
Bisogna imporsi di uscire, altrimenti ci lascio lo stipendio in essenze e incensi.
Attraversiamo la Senna da cui salgono odori di umidità e rumori di lavoro, ma anche le grida di quelli che fanno 'ciao ciao' dai bateaux mouche: agitazioni turistiche.
Entro in Notre Dame. Grande, grigia, buia e come in tutte le chiese francesi... odore di muffa.
Luogo solenne, della seria solennità parigina: profonda, compita, silenziosa e... molto breve!
Si torna fuori, al traffico, al vociare, al rotolare di tutte quelle 'erre' che ti si sciolgono nelle orecchie.
Un gruppo di ragazzi davanti al portone di una chiesa canta un gospel a 'cappella', c'è chi si ferma e chi passa in mezzo... proprio davanti, ignorando tutti, così, senza una piega...'neanche un plissè'. Se un parigino ha deciso che non esisti, devi arrenderti all'inesorabile: tu non esisti!
Mangiamo?
Ma sì! Piccola brasserie, tavolino all'aperto. Insalatona estiva con carne alle erbe aromatiche e molta molta molta moutarde. Patè en croute. E poi formaggi, di tutti i tipi: dolci, aspri, morbidi o stagionati che si sbriciolano o che si spalmano, e niente birra, anche se siamo in una brasserie vinello fresco e secco.
Ci vuole un po' di esercizio per smaltire il pranzo!
E' l'ora del quartiere più parigino, delle strade più celebrate dai romanticoni: Montmartre.
Strade e scalette, lampioncini e acciottolato, l'obiettivo è la basilica de le Sacre Coeur. Non pochi gradini per arrivare fin lassù.
Fatica, consumo di calorie e vista spettacolare: Parigi ai tuoi piedi. Cento volte meglio vista da qui che dalla famosa torre di ferro, ve lo giuro.
Questa città, così unica, bella e capace di cattiveria, di storica cattiveria, che sa ornarsi di sapienza come se la cultura fosse un vezzo, un capriccio. Questa città capace di accoglienza e stupore ma... per carità, senza tanto dimostrarlo! Questa città si stende ai piedi di una cupola bianca, dove si dipana nelle ore del giorno e della notte una adorazione perpetua e silenziosa. Parigi non lo sa, o non vuole saperlo. Continua a godersela tra suoni, colori, profumi e vitalità, continua a far passare la storia dalle sue strade come una tappa del Tour de France... intanto c'è sempre qualcuno che veglia.
Venezia
Venezia è una dama. Venezia è una dama velata. Venezia ha un vestito di pizzo nero, con profili d'argento.
Cammina leggera e non ti guarda, sorride stanca e non si volta.
Venezia brilla di sera, fa sfoggio di antichi gioielli e si specchia sull'acqua della laguna. Si specchia ma non si guarda, non più.
L'antico splendore delle sue vesti non riesce più a nascondere il tempo. Bellissima e stanca, non sente più le voci di chi farnetica bugie d'amore. Soltanto detto. Quasi mai sofferto.
Venezia è dama dai mille amanti, regina della solitudine. A Venezia si regalano ore, forse giorni come fossero diamanti, e non se ne fa nulla. A Venezia non si regala il tempo di una vita, come fosse il pane quotidiano di cui ha ancora fame.
Chi ama Venezia davvero, sa che la poesia non è fumo leggero, né romantica brezza sottile.
Chi ama Venezia davvero è disposto a bere acqua e sale, a farsi rodere i giorni da un tempo che scorre più veloce che ad altre latitudini.
Venezia non è una cartolina, non è una gondola sullo scaffale della nonna. Venezia non è pizzo di vetro colorato.
Venezia è una notte di pesca al largo oltre la laguna. Venezia è la macchia umida del tempo sulle pareti stanche della mia stanza.
Venezia è il respiro rallentato e l'occhio tuffato a rincorrere le celesti Madonne di Tiziano, scoprendo che la bellezza non si lascia possedere.
Venezia non è finta, anche se le sue case hanno balconi di zucchero e le sue strade sono fondali di teatro.
Ho camminato Venezia innumerevoli volte, era la gita della famiglia, della scuola, dei ragazzi in fuga. E Venezia si è prestata a questo ruolo da triste luna park del mondo.
Ma Venezia è nel mio cuore come una scoperta: l'incanto non è mai una magia, è il miracolo di un amore che sempre lotta, che davanti allo sfiorire inesorabile della bellezza continua a dire 'io ti amo, e tu non morirai mai'.
le pallottole di quegli anni
Mario Calabresi 'Spingendo la notte più in là'. Bravo giornalista il Mario Calabresi, figlio di un bravo commissario, morto ammazzato.
Sto ripassando da quegli anni, quando Milano, la mia Milano da ragazzina, era la città grigia nelle cui strade grigie, grigi ragazzini giocavano a fare la guerra.
Gli anni '70 a Milano, io crescevo a ritmo di marcia, minacce politiche sui muri, cantilene urlate nei cortei, ostinate quanto surreali certezze dichiarate dal piombo dei giornali... perchè anche l'inchiostro dei giornali, quasi tutti, puzzava della stessa violenza delle pallottole.
Ragazzini, compagni di scuola che dichiaravano con sprezzante e idiota spavalderia il possesso di spranghe e pistole, pensando di poterti conquistare all'idea.
Ricordo una risposta: 'Idiota, non sai neanche inventarti parole tue, devi farti imboccare il cervello da altri'.
Cosa ne potevo ricevere se non l'etichetta di 'Fascista'? Curiosa situazione: mio nonno contava orgoglioso i bicchieri di olio di ricino a cui l'avevano costretto, il suo che conservava ancora nel baule la camicia nera!
'Fascista' è diventata una parola vuota: masticata, disossata e spolpata proprio da chi voleva farci la lezione.
Comunque a Milano, in certi giorni, per certe strade non ci potevi passare.
Ricordo quella mattina, a studiare a casa di Rosella... 'mamma, sto arrivando'.
Per fare quattro chilometri ... mezza giornata di tram, e dal fondo del viale vedi alzarsi il fumo grigio, senti le sirene dei celerini... no, sono ambulanze. Mica c'erano i cellulari!
Torno a casa alle quattro e trovo una madre angosciata... 'si sono ammazzati ancora, e tu dov'eri?'
Giornalisti che sputavano sentenze sopra comode e ben pagate firme. Mentre ragazzini a mano armata mettevano in pratica le teorie di quegli irresponsabili borghesi, alla corte di Mangiafuoco.
Crescere in quegli anni volendo mantenere il cervello libero voleva dire essere fortunati. Essere fortunati in quegli anni voleva dire trovare maestri di vita, liberi e capaci di chiamare le cose con il loro nome, e soprattutto disposti a giocarci la faccia.
Un pensiero lo ricordo bene, una domanda ostinata, un desiderio che avrei scritto sui muri, sì, anch'io... sui muri: 'cosa è bene e cosa è male? cos'è la verità? cosa la giustizia, l'amore, la vita vera?'
E ti accorgevi che solo queste erano le vere pallottole da sparare.
La Revolution è il desiderio del cuore e della mente libera.
Un bel giorno ho incontrato chi mi ha presa sul serio, ed ho smesso di sentirmi un' extraterrestre in piazza del Duomo.
C'era e c'è ancora chi si tira fuori dal gioco vomitando la sua cinica saggezza sulle domande dell'adolescenza, c'era e c'è ancora chi le usa per piombare la vita di altri uomini... ma forse, certo, perchè non ha il coraggio di vivere la propria.
Milano anni '70, la mia città.
we belong together
Visto il film. Stasera. All'inizio non ne ero molto convinta. I sequel li evito... se posso.
Ma questo mi è piaciuto.
Prima di tutto devo dire che chi ha scritto la sceneggiatura deve essersi ben divertito a ripescare la sua infanzia... si vede, si sente... perchè mi ha ricordato la mia. E questo è già un punto a favore del film.
C'è sempre un rapporto speciale tra un bambino e i suoi giocattoli... se ci pensiamo bene scopriamo che sono tra le prime cose che un piccolo incomincia a dire 'sue'.
'Speciale' cioè... mi appartiene.
'Speciale' cioè... ti appartengo.
Ecco la parola di questa storia di giocattoli: appartenenza.
Niente ti può stare a cuore finchè non lo senti 'tuo'. Nessun sacrificio e lotta, nessuna cura e dedizione per qualcosa che non ti appartiene.
Difficile che qualcuno sappia amare se non ha mai fatto l'esperienza di appartenere.
Non si appartiene ad una società, ad una istituzione, ad un gruppo... si appartiene a 'qualcuno' con un nome e un cognome, con una faccia e un carattere, con le sue manie, stranezze, impreviste tenerezze.
E anche le 'cose'... ne abbiamo cura perchè sono 'nostre'.
Iniziamo dai giocattoli ragazzi, un passo per volta si può a considerare 'nostro' il mondo intero... c'è caso che ne impareremo ad averne più cura. (augh! parola di maestra!!!)
legàmi
Mi sorprendo a chiedermi quale mai sia stato l'istante, quale fatto, parola, accento, anche solo un battere di ciglia che mi abbia presa, legata... quale sia stato insomma il momento diverso dagli altri momenti che ha fatto diventare 'incontro', 'avvenimento' quello che altrimenti sarebbe rimasto un semplice incrociarsi per via.
E lo trovo, sempre.
Ed è inutile cercare fuori di me, perchè quell'acqua corrente s'è unita alla mia.
Amico è veramente chi non se ne andrà più via perchè è ormai parte di te, anche solo una piccola goccia di quel fiume, ma scorre in te.
E poi scopri che il legame c'era già, scopri in un altro quello che credevi nascosto solo in te. Questo mi commuove, amico mio, scoprire che tu sai di me, non perchè ti ho svelato il segreto, ma perchè è anche tuo, era tuo anche prima di me, era mio anche prima di te.
Non mi devi niente, niente ti devo... è solo lo stupore di un regalo quello di cui godere.
Questo fiume non si ferma in noi, prosegue verso il mare aperto. E' così che il legame non è cappio, non è la gomena forzata all'àncora, non è condanna al porto.
E' la commozione di trovarsi confermati nel desiderio di libertà, è la spinta a proseguire, è la consolazione di un viaggio fatto insieme... accada quel che accada, ormai, insieme.
Come non essere grati?
Infinitamente.
pronti a tutto...
ho visto un film, strano, cupo... che sembra complicato, ma non sono proprio sicura che lo sia. Comunque interessante.
Certo, un po' di déjà vu non manca, tra cui Blade Runner e Matrix, un bel misto di due cose che non mischierei... comunque.
L'atmosfera non è male, la produzione alquanto insolita: regia giapponese, attori e location polacchi.
Soundtrack: avvolgente!
Ma che tristezza cosmica santo cielo!!
Neanche l'idea è più tanto nuova: un via-vai tra reale e virtuale, dove alla fine non è più chiara la distinzione, e non servono a molto il cambio della fotografia, il colore e la luce per riordinarti le idee.
Intanto in breve l'argomento: gente che si guadagna da vivere giocando a videogames di guerra e rischiando realmente la vita. La più brava è una ragazza, bella e tristissima. Finito il suo gioco, che poi è un lavoro, torna a casa. Unico amico: un cane.
Ma dico io! Sei anche una bella ragazza... possibile che tra tutti quelli che incontri, nessuno ti guarda almeno di sfuggita? No, tutti tristi e grigi con la testa bassa!
Oppure interessati solo alle vicende dei videogiochi. La realtà non se la fila più nessuno. E' proprio il caso di dire che chi si contenta neanche gode?
La storia prosegue con il procedere dei livelli di gioco... c, b, a... fino ad arrivare all'ultimo che, guarda caso si chiama 'Real'!
La motivazione? La tipa deve liberare uno dei suoi amici, e affronta i rischi per il solito senso di colpa... di cui sinceramente non sentivo la mancanza. Non è che esiste qualcos'altro capace di farci lottare?
E allora? cosa mi ha detto sto film?
Non so, c'è qualcosa che mi ha fatto pensare. Tante, troppe volte confondiamo le battaglie virtuali con quelle reali e ci incartiamo mica male!
Riduciamo al lumicino lo spazio per la realtà, per i veri rapporti non abbiamo più aspettative, cerchiamo la novità sempre più nella fantasia fino ad essere disposti a soffrire per... il nulla.
Santa Teresa chiamava la fantasia 'la pazza di casa'. Saggezza dei santi!... non è che sia da cacciare, l'immaginazione può servire.... ma non può farla da padrona!
E' meglio una bistecca vera non troppo saporita o una virtuale? Forse per la dieta.
E così anche l'unica frase un po' degna di nota che ho trovato in questo film...
'non devi mai farti confondere dall'aspetto che assumono le cose'
diventa un inno al depistaggio, al relativismo che sembra sapiente e non è altro che disorientamento cosmico. Cosa cavolo uso come punto di riferimento per non farmi confondere?
Preferisco soffrire nella realtà che farmi segare in due dal virtuale, cioè dal nulla.
Dal nulla... il nulla, mi pare scientifico no?! Ma dalla realtà posso anche aspettarmi di essere felice!
silenzio
Ma a volte sei proprio stanco e non vuoi più rischiare. Sei proprio stanco.
Chi sono gli altri in fondo? Qualcuno con il tuo stesso desiderio e forse più impauriti di te.
Suonerò ancora la mia musica... per me, e se vorrai spezzare il mio strumento vuol dire che canterò.
Se proprio non vorrai ascoltarmi non importa, fa conto che non è per te... ma lasciami cantare.
E se anche questo ti disturba, bè mi spiace ma esiste un canto silenzioso che grida di più.
Perchè non esiste musica per gli altri se prima non è per sè stessi.
Eppure bisogna partire, salire la montagna ed inoltrarsi in questo sconfinato silenzio che attira e impaurisce, fregarsene davvero e andare, perchè tutte le fatiche e le sofferenze del mondo valgono l'istante in cui percepisci la voce di qualcuno che veramente, veramente, veramente ti dice 'sono qui... con te, e non me ne andrò più'
E sai che questa è la voce della Bellezza che il tuo cuore da tanto... tantissimo tempo cerca.
Ma ci sono momenti in cui temi di non crederci più.
Pensieri
Stasera, seduta accanto al letto, solita ora, solite mansioni, solite cure... a cui non ti abitui però, guardavo l'albero. Un po' di vento e le foglie iniziavano a danzare. Non so come mai, però mi faceva sentire bene, quel 'vedere' il vento e non sentirlo, il verde cangiante delle foglie. Era come spiare un dialogo tra due misteri, la scoperta di poter capire una lingua sconosciuta.
E l'aria leggera di un'estate che non sembra di città, essere nello stesso posto senza averne la percezione.
Cosa mi hanno detto il vento e le foglie?
'Sono qui, con te. Non aver paura. Non deve passare un istante senza che tu ne faccia tesoro.'
Ci sono misteri impercettibili che ci passano accanto, e nella nostra distrazione perdiamo occasioni preziose.
Le ore sono molto più dense di quel che crediamo, il tempo come un pozzo profondo, dove l'acqua è fresca... occorre calare il secchio e lavorare di braccia.
A volte ci si sente proprio soli... ma forse è solo una nuova occasione, devo guardare dentro a quel pozzo... forse ci è caduta addirittura la luna!
Lord of the dance I will dance with you!
I danced in the morning when the world was begun
I danced in the Moon & the Stars & the Sun
I came down from Heaven & I danced on Earth
At Bethlehem I had my birth:
Dance then, wherever you may beI danced for the scribe & the pharisee
I am the Lord of the Dance, said He!
And I'll lead you all, wherever you may be
And I'll lead you all in the Dance, said He!
(...lead you all in the Dance, said He!)
But they would not dance & they wouldn't follow me
I danced for fishermen, for James & John
They came with me & the Dance went on:
I danced on the Sabbath & I cured the lame
The holy people said it was a shame!
They whipped & they stripped & they hung me high
And they left me there on a cross to die!
I danced on a Friday when the sky turned black
It's hard to dance with the devil on your back
They buried my body & they thought I'd gone
But I am the Dance & I still go on!
They cut me down and I leapt up high
I am the Life that'll never, never die!
I'll live in you if you'll live in Me -
I am the Lord of the Dance, said He!
contento e felice
Da giorni ormai mio padre è in un letto di ospedale. A 88 anni l'immobilità non giova certo. Ma non è solo quello, è richiesto al ragazzo un certo grado di umiltà non facile da portare. Se ne vanno la privacy ed il pudore: '...lo so che le infermiere sono abituate a manipolare i corpi umani... ma non sono abituato io!'
Se ne va una certa autorevolezza presso la figlia a cui è 'costretto' ad obbedire anche solo per un bicchier d'acqua, se ne vanno le ultime pretese di autonomia...
Eppure oggi, dopo una mattinata in cui ha sperimentato la totale dipendenza anche per le cose più intime e private, aprendo gli occhi e guardando da sotto in su l'infermiera che gli faceva l'ennesima puntura: 'non so perché, non so proprio bene perché ...ma sono contento e felice!'
Tua figlia oggi scopre che non gli sei mai stato tanto padre come adesso, che la vita vale la pena di essere vissuta fino in fondo, che non c'è uno stato ideale ma che l'uomo è uomo fino alla fine e che ...non so perchè, non so proprio bene perchè, ma la vita è sempre bella.
Grazie papà.
Uomo saggio
La poesia è una cosa di tutti, in quanto uomini, ma non a tutti è data la capacità di esprimerla, quel 'degna di durata esemplare' ha dietro studio, fatica, tagli e dolore.
Troppo abituati a pensare che la creatività sia qualcosa di spontaneo e naturalistico, ci accontentiamo di sbrodolare le parole appena ce le troviamo in testa, ci accontentiamo di leggere facili emozioni che hanno la durata della fiammella di un cerino.
Lavoro, lavoro, lavoro e lasciarsi ferire, nel silenzio, dal mistero delle cose: questo è un po' di quello che capisco dalle parole di questo saggio uomo.
'Quando uno scrittore verrà considerato dai posteri come un classico vero, si scoprirà che il suo stile reca in sé una certa oscurità. Ciò avverrà perchè il vero classico dice le cose con proprietà di lingua, e ciascuna un’unica volta, e gli è, persino a se stesso, inimitabile l’opera sua. (…) L’opera vera di poesia è quella che è arrivata in sé a distruggere il più possibile la parte della scimmia o del pappagallo o del robot. La poesia è viva in ogni anima, e possono essere anche labbra di un semplice ad esprimerla. Ma il sentirla e l’esprimerla sono due cose distinte, almeno l’esprimerla in modo che risulti, serbando l’originalità d’impronta di chi l’esprime, degna di qualche durata esemplare. Il vivente segreto della natura tanto più diversifica dalle altre ciascuna persona umana quanto più alle altre l’umano essere l’accomuni. Perchè dunque stupirsi che nell’opera duratura di poesia l’umanità si manifesta conservando tracce di quel mistero che è la sostanza stessa della poesia'
Giuseppe Ungaretti, Missione del letterato (1947)
'Togliete all’uomo il desiderio d’eterno, toglietegli la lotta contro la morte, toglietegli l’illusione, inariditegli nel cuore la poesia, e quel giorno sarà sulla via di perder l’arte, e quel giorno gli cadrà dalle mani quel lumino che l’aiutava a intravedere nel suo abisso e a farsi padrone d’un grano di potenza.'
Giuseppe Ungaretti, Classico, Romantico…, in “Il Resto del Carlino”, Bologna, 23 ottobre 1929.
(foto Archivio Garolla)
ricordi
Roba casalinga, che sa di sudore ed esercizio, di testa china e mani doloranti.
Interminabili scale, melodie ripetute, interrotte, riprese. Io giocavo sul pianerottolo, all'ultimo piano di una vecchia casa nel centro storico, vicino alla scuola di musica, dove aveva studiato anche mamma.
Non ricordo molto, solo che quando attaccava il pianoforte io mi fermavo, qualsiasi cosa facessi, mi fermavo. Era un mistero allora, da dove venisse quel suono non lo sapevo ancora, forse me l'avevano spiegato, ma ero ancora troppo piccola.
I tetti di Milano e la musica del pianoforte, questa è per me la poesia della mia città. forse non è granchè, ma ogni volta che sento un pianoforte suonare io mi fermo, qualsiasi cosa stia facendo, mi fermo, chiudo gli occhi e ascolto.
Zivago poeta
Il vento
Io sono già morto e tu vivi ancora.
E il vento, con gemiti e pianto,
fa oscillare il bosco e la dacia.
E non per proprio conto ogni pino,
ma tutti insieme gli alberi
nella loro distesa sconfinata,
come armature di velieri
sulla superficie d’una baia.
E non per tracotanza
o per vano furore,
ma per trovare nell’angoscia le parole
d’un canto di culla per te.
I tamburi d'Africa
Ok! Blues. La storia è quella, dall'Africa all'America sulle navi che trasportano uomini come merce da vendere. Il cuore è un tamburo, e i tamburi sono il suono del cuore d'Africa.
Erano Griot, i maestri della parola, i cantastorie diremmo qui da noi.
Memoria della terra africana, dove la storia è affidata al racconto orale, prima che al libro, alla musica e al canto prima che alla scrittura.
E quando li hanno strappati dalla loro terra hanno continuato a cantare lì, dove li avevano deportati.
Canti di lavoro e di dolore, canti di fatica e nostalgia... blues, appunto.
Il solista canta ed il coro risponde, ad antifona si chiama, è la struttura dei canti fatti dal popolo. Blues, sì, ma non da soli. Il bluesman, anche nella più nera solitudine, canta qualcosa che è condiviso da altri.
Erano canti proibiti, in tutti gli stati dove il puritanesimo dettava legge, solo in Louisiana, vecchia colonia francese, gli schiavi avevano un minimo di respiro... e lo usavano per cantare.
L'inconfondibile blue note, il groove è partito da New Orleans e poi, quando le piantagioni non hanno più dato lavoro, si è spostato a Chicago... ma questa è la storia che continua e si dirama come un grande albero... jazz. Ma li senti ancora in sottofondo? Si, sono i tamburi d'Africa.
blues: poesia americana
Anche questo aiuta...
Life is Fine
by Langston Hughes
I went down to the river,
I set down on the bank.
I tried to think but couldn't,
So I jumped in and sank.
I came up once and hollered!
I came up twice and cried!
If that water hadn't a-been so cold
I might've sunk and died.
But it was Cold in that water! It was cold!
I took the elevator
Sixteen floors above the ground.
I thought about my baby
And thought I would jump down.
I stood there and I hollered!
I stood there and I cried!
If it hadn't a-been so high
I might've jumped and died.
But it was High up there! It was high!
So since I'm still here livin',
I guess I will live on.
I could've died for love--
But for livin' I was born
Though you may hear me holler,
And you may see me cry--
I'll be dogged, sweet baby,
If you gonna see me die.
Life is fine! Fine as wine! Life is fine!
accendere candele
Mezz'ora prima della messa. Come da un po' di tempo a questa parte prendo le mie belle candele e metto il soldino, ormai è come l'abbonamento ai caffè del bar... 5 euro mi valgono per qualche giorno.... bisogna prevenire, mica sempre si hanno gli spiccioli!
Mi piace accendere candele, mi piaceva anche da bambina, la fiammella è qualcosa di vivo e palpitante, un piccolo cuore acceso, che rimane lì a pregare per te anche se vai via.
Ho acceso le candele e mi sono inginocchiata. Le nonne intanto hanno attaccato con il rosario.
Non sono mai stata tanto brava nei rosari, o mi distraggo alla grande o... mi addormento. Ma non è grave, pare, le nonne vanno avanti anche per te come le candele accese, come quando ti addormentavi in braccio a tua mamma, sentivi e non sentivi... però eri lì, al sicuro.
Altre persone intanto si sono avvicinate ad accendere la loro candela, e tutte accendevano dalla fiamma di un altro... tutte. Ecco, ho pensato, è proprio così la parola 'condivisione'... ci si aiuta quel tanto che basta ad accendersi a vicenda poi, vicini, si fa affidamento ad un altro.
Mi piace accendere candele: è un modo per dire 'sono presente'.
Per me, perchè assicuro un po' di tempo contro la mia distrazione; per altri a cui voglio bene perchè possano accendere la loro luce alla mia, non serve tenerli spenti al buio dei miei pensieri, bisogna che la loro fiammella arda davanti a chi solo può ascoltare ed esaudire.
Io mi distraggo sempre quando recito il rosario, però non mi disturba, mi sento al sicuro.
Posso continuare ad accendere una candela per te?... se vuoi.
Ciao ciao
l'universo da bambino
Lanciato nel maggio del 2009 per osservare il fondo cosmico di microonde.
No mamma non è il forno che cucina un pollo in 2 secondi! E' un po' come andare in cerca di fossili, i fossili delle stelle, per farsi raccontare la storia dell'universo... cioè la nostra storia.
Bene Planck sta mandando le sue prime informazioni. Dio mio! Non è grandioso?!
Ed ecco come lavora il nostro esploratore.
La mappa che ne risulta mostra la via lattea (la parte blu per quanto ne capisco) e la parte più antica, il fondo cosmico appunto (in rosso).
Ma per spiegazioni più precise vi rimando qui (in inglese) e qui (in italiano)
La cosa che posso dire io è solo tutta la mia meraviglia. Certo per la grandezza dell'universo, per la bellezza delle stelle, per il mistero del cosmo; ma ancora di più per l'ingegno umano, la curiosità, il desiderio. La meraviglia perchè è frutto di un lavoro, normale, non è mica roba da supereroi.
Lavoro, lavoro, lavoro. Nascosto, ripetitivo, arido il più delle volte credo... proprio come il lavoro di tutti... e allora se la forza motrice di tutto questo è il desiderio di conoscere, posso dire che anche con il mio, di lavoro, posso andare a fotografare le stelle? Non proprio quelle lì, ma sicuramente belle così.
Grazie signori del Planck!
Ciao ciao!
Commossi
Per quanto la notte sia scura, se guardi bene un piccolo lume lo vedrai sempre.
E se ci pensi bene, quella piccola luce ha proprio bisogno del buio per farsi vedere
da te.
Troppa luce la nasconderebbe, troppo rumore distrae dalla voce unica del bene
vero, che non grida, sussurra. Poi ti avvicini e vedi che il tuo cielo è stato riempito
di stelle, come un baule pieno di gioielli regalati da un amante esagerato.
Noi non ci pensiamo mai ma siamo molto amati... dio mio come siamo amati!
Holy Mother
by Eric Clapton and Stephen Bishop
Holy Mother, where are you?
Tonight I feel broken in two.
I've seen the stars fall from the sky.
Holy mother, can't keep from crying.
Oh I need your help this time,
Get me through this lonely night.
Tell me please which way to turn
To find myself again.
Holy mother, hear my prayer,
Somehow I know you're still there.
Send me please some peace of mind;
Take away this pain.
I can't wait, I can't wait, I can't wait any longer.
I can't wait, I can't wait, I can't wait for you.
Holy mother, hear my cry,
I've cursed your name a thousand times.
I've felt the anger running through my soul;
Holy Mother can't keep control
Oh I feel the end has come,
No longer my legs will run.
You know I would rather be
In your arms tonight.
When my hands no longer play,
My voice is still, I fade away.
Holy mother, then I'll be
Lying in, safe within your arms.
Dicono l'abbia scritta per un altro musicista che aveva il soprannome di 'Santa Madre'... e che non fosse proprio quel che si dice uno 'stinco di santo'.
E allora?... cosa cambia?... Dio permette le sviste e ci ride anche sopra!
Il bluesman potrà anche essere un rottame, strafatto, bevuto, fumato, allucinato.... ma una cosa la sa fare bene: domandare.
Questo è tutto quello che basta per la vera 'Holy Mother'
Ok mister Clapton I hear your voice!
estrema ribellione: nulla si perde nel nulla
Occorre spostare il centro di attenzione da sè ad altro. Altrimenti si entra in un labirinto.
Lo dicevo stasera a mio padre, ma lo dicevo a me. Come è vero!
In questo momento papà è fissato sui suoi bisogni... si direbbe che non potrebbe fare altrimenti, lo giustifichiamo... ma è giusto davvero?
Poi ti accorgi che facendolo parlare d'altro, raccontandogli cose, anche una barzelletta, una stupidaggine, un'impressione... non è distrazione, è rimettere sulla strada, è spostare la prospettiva, riaggiustare il baricentro.
Così sono io, a volte i miei bisogni si gonfiano all'inverosimile, sembrano come la rana di esopica memoria, fissata su di me... mi lascio sfuggire il mondo intero!
C'è un altro uomo in quella corsia, un uomo che se ne sta andando. Tempra tenace, sofferenza tanta, voglia di vivere... di più.
Lo guardavo stasera e mi immaginavo la sua vita, chissà com'era da giovane? Chissà che ragazzo era quando ha incontrato sua moglie, chissà come si sono voluti bene, che padre è stato? Cosa gli piaceva? Cosa no?
Quello che si è vissuto. Nella buona e nella cattiva sorte, la condivisione di una vita... anche per un uomo soltanto, un piccolo puntino nell'universo... non può azzerarsi in un attimo.
No, l'uomo non può essere ridotto alla sua sofferenza, l'uomo non è definito dal suo dolore... non è possibile, non mi rassegno. Al nulla non mi rassegno.
Caro signor Renzo, chissà se riuscirò a raccontare la sua storia?
Io credo che ci sia un Paradiso, ma non mi basta pensare che il signor Renzo troverà nel futuro, anche se fra poco, un posto bellissimo dove starà bene, dove tornerà il suo vigore e la bellezza della sua esistenza, c'è un seme di bellezza anche su un letto di morte, c'è una nota costante, ostinata, ricorrente, in sottofondo che dice la grandezza di un uomo e il frutto prezioso di una vita proprio lì dove tutto griderebbe fine, guasto, dolore, inutilità, soprattutto inutilità.
No, la morte non è l'ultima parola sull'uomo... non domani, adesso.
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