Scritto e orale
Ieri sera al tiggì guardavo i ragazzi che sfilavano. Il pretesto della protesta pare sia il rifiuto della prova scritta alla maturità di quest'anno.
Mi è partito un embrione di pensiero stamattina, mentre mi lavavo i denti; bè si, ho una mente dalla lenta cogitazione.
Ah se la scuola fosse davvero quel luogo dove ti insegnano a far tesoro della tua esperienza. Se il maestro fosse visto, usato, interpretato, esercitato per quella persona che si accompagna con te nella scoperta dei legami tra te e la realtà. Se quel che vivi e desideri fosse, tra quelle aule e corridoi, davvero preso sul serio perché tu impari a prenderti sul serio.
Se davvero intendessimo la maturità come il bisogno, la voglia, la necessità di generare un giudizio, un pensiero una vita utile per sé e per il mondo... ma ragazzi...non avreste voglia di dire la vostra in qualunque spazio, modo, mondo, luogo, forma possibile?
Provate ad immaginare un bambino che ha appena imparato a camminare, e chi lo tiene più? Cade? Se ne frega perché adesso il mondo è suo e vuole afferrarlo. Se potesse esprimersi compiutamente credete rinuncerebbe a correre e saltare solo perché ha avuto mesi difficili senza sapersi reggere sulle gambe dalla nascita? E allora perché rifiutare di misurarsi solo perché per due anni avete dovuto confrontarvi con uno schermo?
Del mio esame di maturità ricordo solo un gran nodo allo stomaco e una enorme voglia di dire la mia.
Quella voglia di spaccare i muri e uscire, combinare qualcosa e vivere con la mia faccia controvento, ho scoperto che potevano parlare anche davanti ad un foglio bianco e ad un professore dalla faccia strana.
Una prova, un tema, un colloquio, una interrogazione sono ostacoli da brandire non il nemico a cui mostrare la schiena.
I miei tempi non erano migliori dei vostri, e noi non avevamo cuori più grandi, quindi non ho niente da rimproverarvi, solo una cosa mi permetto di suggerire: non accontentatevi di chiedere prove d'esame diverse, ai vostri maestri chiedete di più, chiedete loro di essere uomini e donne che vivono sul serio.
Buono studio, buona crescita.
STANCHEZZA
Stavamo andando bene, i nani seienni che spargono allegria in mezzo alle infinite procedure, le imparano e le applicano che è una bellezza. Poche assenze, due o tre per covid ma come prevenzione. Una di noi l'ha assaggiato ma è tornata in pista con baldanza. Stavamo camminando.
Fatica? Tanta.
Voglia di proseguire? Tutte le mattine la riacchiappavo.
Cambi di strada con regole diverse? Ogni giorno, all'improvviso. E con 22 nanetti al seguito è come essere una locomotiva che trova uno scarto imprevisto.
Poi, eccoci arrivati alla frenata. Avviso alle famiglie via telefono un'ora per l'altra: "tenetevi pronti, da domani siamo chiusi"
Ci sono mamme sole che non sanno a che santo votarsi, papà che non hanno più ore di permessi, nonni generosi ma fragili, case con un vecchio computer in quattro e bambini, bambini che hanno appena iniziato ad assaggiare la scuola. "Maestra ma io voglio stare qui con voi!" perché, loro, ci credono davvero che la maestra abita a scuola.
Ecco. Torno a casa come una Ferrari che ha appena sgommato per non andare a sbattere.
Mi siedo e mi sento davvero triste. Dopo un anno di mascherine, chiusure, silenzi, mamme e badanti che muoiono e fratelli da portare in ospedale la parola che mi si accende a neon nella testa è "Ma bastaaa!"
Sono stanca. Bisogna guardarla questa stanchezza, inutile nasconderla. Se fai finta di niente ti spezza le gambe a tradimento.
Sì, lo ammetto, sono stanca e triste.
Sto suonando la mia canzone all'angolo della strada e nessuno mi sente. A che serve urlare? Metto lì il mio piattino e aspetto, mendico.
Mi lascio andare, mollo la presa, non oppongo resistenza. Chiedo una spalla su cui appoggiarmi, una compagnia. Niente altro. Uno "stai con me" e basta.
Accendo la radio.
Il Papa è in Iraq. Si, e che c'entra con me?
Bè, ragazzi, chi lo farebbe al posto suo? Qualcuno parla di interessi di potere del Vaticano. Il potere non rischia la pelle, vende quella degli altri. Fine della risposta che mi do.
Però c'entra perché lo guardo e mi sembra di non essere poi così sola a suonare sul marciapiede e mendicare col mio piattino.
No, non è affatto l'esercito della salvezza che ti piazza il pasto caldo per una notte al prezzo di una insulsa predica, e non ne ho intercettato neppure una parola a dire il vero. L'ho solo visto.
Prima impressione, a sberla: quello sta mendicando come me, solo che invece di stare seduto nel suo angolino si tuffa in mezzo alla strada, come quei pazzi giocolieri ai semafori.
Siamo pieni di tristezza, stanchi e al buio, ancora al buio, ma qui non ci si ferma, non ci hanno ancora fermati.
Adesso preparo la lezione a distanza, guardo il Papa e vado avanti.
Ignorare la scuola, ancora una volta.
Questa è la parola che domina e mostra il carattere di questo tempo.
L'estrema, ultima, terribile impotenza della distanza dai tuoi cari che muoiono soli, l'impotenza di fronte ad un nemico invisibile, l'impotenza che innesca pericolosamente indignazione e sconforto nel leggere dello sciacallaggio ideologico del potere legittimo o nascosto, dello sfruttamento sul bisogno della gente.
Impotenza. Ha tante facce, ma un solo unico grande dolore.
Oggi parlo della mia, di impotenza. Del mio quotidiano dolore.
Qualcuno crede ancora che lavorare tra i bambini, nella scuola, sia solo una cosa divertente. Una cosa lieve, tutto sommato di fronte alle tragedie della vita, ora, la scuola, può anche tacere.
I bambini vengono sempre zittiti, spesso danno fastidio. Spesso la scuola non è che un fastidio. Sappiamo tutti ripetere bene che i bambini sono il nostro domani...cavolate! I bambini sono il nostro oggi, adesso.
Ebbene, occorre sapere che la stessa identica impotenza che mi prende quando guardo le camionette dei morti uscire dagli ospedali, di notte, lo stesso identico sconforto, lo stesso peso porto con me ogni volta che vedo alcuni miei alunni abbandonati, soli, davanti al computer, al cellulare, al telefono, perchè con alcuni posso usare solo la voce.
Carissimi voi tutti che non avete considerato queste solitudini, che sentite tanto o poco scandalo reagendo a questo paragone: sappiate che la solitudine di un bambino in questa scuola strana che a chiamarla "scuola" si fa solo peccato, è la stessa tragedia che ci porta via delle vite e nel modo più drammatico.
E' la stessa, identica solitudine dei nonni che muoiono da soli nelle corsie degli ospedali, con la differenza che questi ragazzetti dovranno in qualche modo continuare a vivere in un mondo che continuerà ad ignorarli giustificandosi con moralismi disgustosi.
Ma io non voglio permettere all'impotenza di offuscarmi la vista. L'inevitabile è una sfida.
Non posso che continuare a lavorare dietro ad un computer, con un telefono in mano cercando dietro agli schermi o dentro un microfono la faccia e la voce dei miei alunni e anche quella dei loro genitori, implorando, se occorre, la loro presenza accanto ai figli. Non è solo questo però.
L'inizio è riconoscere e gridarlo a tutti, che il mio lavoro ha a che fare con la vita, che è prezioso, unico e dannatamente urgente.
Chiedo con tutta la mia voce, a chi di dovere, quindi prima di tutto a me stessa: consideriamo la scuola, per l'amor di Dio, come un luogo dove si potrebbero salvare delle vite umane, le nostre.
COS'E' LA SCUOLA?
Eh sì, la cosa più noiosa del mio lavoro è leggere articoli di didattica e pedagogia... devo sempre munirmi di qualcosa per decriptare il gergo degli "esperti".
Ok, adesso torniamo alla realtà.
Una domanda che ci stiamo facendo durante questa provocante congiuntura è: cosa fa della scuola "La scuola"?
Mi spiego con un fatterello: da mesi, in mancanza dell'appuntamento quotidiano tra i banchi, ho un appuntamento in chat con gli alunni.
Ce lo siamo logisticamente sudato: orario, durata, accesso, a gruppi o con tutta la classe, presenza dell'adulto.
Ieri la telefonata di una mamma: "adesso che possiamo uscire un po' non facciamo il collegamento, possiamo sentirci in un altro orario da soli?"
La mia domanda è stata "ma se fossimo stati a scuola avrebbe comunque fatto questa richiesta? Mi avrebbe chiesto di far venire sua figlia a scuola in un altro orario perchè durante quello scolastico dovete fare una passeggiata?".
Sono esagerata? In fondo un collegamento di 10 minuti non è certo paragonabile alla frequenza scolastica!
Sì, ma cosa è la FREQUENZA SCOLASTICA?
Compiti? Esercitazioni? Allenamenti? Disciplina? Voti? Spiegazioni?
Sì, ci sono queste cose, ma non una di queste fa "la scuola".
La scuola prima che un luogo di addestramento è un appuntamento con delle persone, un incontro che mi deve permette di crescere, di imparare ad avere coscienza di me e della realtà intera.
Cosa mi ha insegnato la scuola? La scuola non insegna niente, sono le persone che la frequentano e la fanno a rendere la scuola quello che è: un luogo importante per la vita.
Tanto è vero questo che lo sa bene chi, pur frequentando, ha trovato insegnanti incapaci. Per molti di questi la scuola non ha alcuna credibilità.
Come mantenere un simile luogo anche se un luogo non l'ha più?
Frequentando le persone che questo luogo lo vivono, con tutti i mezzi possibili.
Caratteristiche della scuola sono la quotidianità, e la struttura ordinata. Perchè la cultura è come il pane: quotidiana e fatta secondo le regole. Come il pane costruisce la nostra persona, come il pane non va sprecata, come il pane va rispettata.
No, non ti cambio orario e non ti faccio la chat privata. Non sono un precettore, sono una maestra di scuola elementare.
Se scegli di portare tua figlia a passeggio invece di venire a incontrare la maestra e i suoi compagni, ti prendi liberamente questa responsabilità, perché io faccio la maestra e non il cerbero.
La responsabilità di aver mostrato a tua figlia l'inganno di una libertà che è fare quello che si vuole, quando si vuole. E quando tua figlia si accorgerà, a sue spese, che abbandonati a sé stessi e alle proprie voglie non si va da nessuna parte, forse non troverai più le parole per tornare indietro. Sì, perchè la scuola non è il posto dove si educa a parole: la scuola è dove si impara a giudicare la realtà partendo da una ordinata esperienza in compagnia di altri. Il mio compito è quello di fornire ordinate esperienze quotidiane per ragionare in compagnia, e lo devo fare anche se ho solo un computer come mezzo.
Voglio continuare a fare scuola anche se la scuola oggi ha un altro aspetto, ecco perchè posso anche rinunciare ad avere tutti i compiti perfetti e ordinati, ma alla chat quotidiana con tutte quelle faccette che mi aspettano, proprio a quell'ora, io non rinuncio.
Buona passeggiata
"Tusa! guarda sù che i too eoch poden vedè pusee in la' del to nas"
Stasera ho seguito la messa via YouTube di un sacerdote che tutti i giorni celebra all'aperto in mezzo alle case del suo quartiere. La gente assiste, chi al balcone, chi alla finestra e altri, come me, via internet.
Mi sono venute in mente le colonne votive di san Carlo nella mia Milano al tempo della peste, quella del 1500, quella di san Carlo appunto, quella scoppiata cento anni prima di Renzo e Lucia.Alcune precedenti san Carlo, altre fatte costruire da lui stesso, nei crocevia, nelle piazze della città.
Colonne con ai piedi altari e circondate da cancellate. Servivano a celebrare le messe per la gente chiusa in casa dalla quarantena, servivano... appunto. Ma a cosa serve la messa?
Domanda non inutile e nemmeno così provocatoria quanto spererebbero certi mangiapreti, così comici perchè convinti, nel loro ruvido giudicare, di essere lontanissimi da quell'odiato moralismo in cui si buttano a capofitto appena si sentono in dovere di dirci come dobbiamo vivere e pensare.
A cosa serve la messa? E perchè ostinarsi a volerla fare con la gente? La tua fede non è mica un fatto privato?Domande interessanti.
Ho iniziato a rispondermi con un'altra domanda: ma perchè mai dopo più di due mesi chiusi in casa non vediamo l'ora di stare un po' in mezzo alla gente? Così. Sorpresi di aver nostalgia persino di una coda in tangenziale.
La solitudine non è roba da esseri umani, mica si parla di bigottoni baciapile!
Si, ma perchè la messa?
Allora chiedo aiuto alla canzone di Celentano:
All'angolo e indifeso
Ti cerco accanto a me
Da soli gli occhi non vedono...
...Ti penso e cambia il mondo
Vivo e affondo
E l'inverno è su di me
Ma so che cambia il mondo
Se al mondo sto con te...
Io non so voi se bastate a voi stessi, ma so che ho bisogno di avere qualcuno accanto a me, perchè a me dà fastidio che il mondo e le cose finiscano in uno sguardo miope e impotente come il mio.
Vivere e sentirsi affondare, alzi la mano chi non l'ha mai provata questa vertigine.
Che cosa vi afferra e vi tira su?
Un pensiero? Una libera e laica opinione o qualcuno accanto?
Forse a qualcuno basterà la sua donna o il suo uomo accanto: l'amore della vita no?!
Ecco, allora io ho bisogno che quel prete sotto la colonna, nel cortile, nella piazza mi ripeta ancora, ogni giorno, che c'è un tizio nel mondo che mi dice:
"guarda, tusa guarda sù che i too eoch poden vedè pusee in la' del to nas, la morte non parla per ultima"
Guarda figlia, il mondo va oltre il tuo piccolo orizzonte.
Insomma, non so voi, ma io ho bisogno di qualcuno che mi faccia cambiare la visuale sul mondo.
Per chi volesse vedere le colonne votive di Milano ecco la serie.
Stiamo a casa
Incominciamo con la Cappella Sistina:
tour-virtuale.html
e qui trovate la spiega di tutto: michelangelo-la-volta-della-cappella-sistina
Poi, scusate se faccio la milanese imbruttita, ma il nostro Duomo non può mancare:
index.html
...e la miniguida corredata di immagini e video duomo_di_milano.asp
per oggi basta, che per godersi la bellezza ci vuole lentezza.
Ciao
...e lavatevi bene emani, starnutite e tossite nel gomito, lontani un metro e mezzo gli uni dagli altri e tanti tanti abbracci virtuali per tutti.
i primitivi
Mentre tu fai quello che fai, la tua maestra studia quello che anche tu studierai.
Adesso sto studiando i primitivi, i primi uomini. Quelli che vengono dopo i dinosauri che ti piacciono tanto, però meno male che si sono istinti, mistero che entra ostinato tra le certezze dogmatiche della scienza. E meno male che c'è la scienza che, quando è vera, ci regala un metodo per non essere mai soddisfatti.
Allora, dicevo, meno male che si sono estinti i dinosauri altrimenti non potresti leccarti il gelato, giocare a calcio con la pallina di carta, fare i capricci, dare una carezza alla mamma o incantarti davanti all'ultimo videogioco che tra cinque minuti cinque ti avrà già stufato.
La maestra studia, e mentre studia si incanta perchè scopre cose che le piacerebbe dirti. Ma non basta che te le dica, bisogna che studi il modo per dirtele così che te la possa godere insieme a lei, come leccarsi un enorme gelato e scambiarsi i gusti. Vediamo se oggi riesco a farti provare quanto è buono il mio!
Oggi ho scoperto che gli uomini sono sopravvissuti tra tante specie possibili perchè hanno saputo adattarsi. Sì, va bene, ma che scoperta è?!
Ti dico che è una scoperta. Perchè uno scopre qualcosa non solo quando viene a saperla, ma di più, quando capisce che quella cosa gli serve oggi, mentre beve il caffè o si arrabbia con te che fai i capricci.
Vediamo un po' se riesco a spiegarmi.
L'uomo ha vinto perchè ha saputo cambiare le sue abitudini, il suo modo di camminare, mangiare, dormire, guardare...vivere. Non ha aspettato che il mondo cambiasse intorno, non ha perso troppo tempo a dare la colpa alla scimmia che gli rubava le banane da sotto il naso, o al mammuth che lo guardava come si guardano i birilli al bowling prima di tirare. L'uomo è quell'essere che, vista una difficoltà, la osserva bene, la studia e cambia atteggiamento suo, cose sue, abitudini sue per vincerla. Si chiama intelligenza. L'uomo intelligente è l'uomo che sa cambiare.
Ora prova a pensare quante cose ci ostacolano durante la giornata, dalle più piccole e fastidiose come zanzare, a quelle serie e drammatiche. Qual è la tua scelta immediata, ti lamenti o le affronti?
La risposta ti darà la misura della tua intelligenza.
Ma la tua maestra non ha finito di studiare, ha scoperto un'altra cosa.
Alcuni scienziati (antropologi e paleontologi si chiamano) hanno scoperto che la spravvivenza della specie umana è stata favorita anche dalla capacità di aiutarsi reciprocamente nel bisogno, portare da mangiare al gruppo, curare le ferite, difendere il più debole. La capacità di compassione insomma.
Si va bene, non ce lo vedo mister Flinstone che fa le coccole al piccolino che si è sbucciato il ginocchio inseguendo le farfalle, ma quando imparerai che la compassione non è quella roba appiccicaticcia che ti fanno vedere alla tv, allora capirai cosa intendo.
Ultima cosa, e forse la più bella perchè spunta come un fiore che sembra inutile ma che ti rallegra la giornata: l'uomo è sopravvissuto perchè è stato capace di cercare la bellezza.
Se ci pensi bene l'uomo primitivo non è che avesse tanto tempo da perdere, era continuamente impegnato a difendersi dalle bestie feroci, dal freddo, dalla fame, dalle intemperie o da qualche vulcano che all'improvviso si svegliava, o, che ne so, dalla natura che gli faceva lo sgambetto. Cosa cavolo gli è venuto in mente di gingillarsi a dipingere le pareti delle caverne o costruirsi degli ornamenti? Una ciotola è una ciotola, basta che serva alla bisogna, perchè farci dei ghirigori inutili?
Eppure quella cosa "inutile" serve a sopravvivere esattamente come il pezzo di carne che cerchi per la tua fame: si chiama bellezza, ed è una cosa di cui solo l'uomo ha sete.
Prova a pensare a quale sarebbe il tuo umore senza quel bel gioco che hai voluto tanto, oppure alla bella maglietta da cui non ti puoi separare, all'album delle figurine o alle tue matite colorate che ti servono a far più bella la tua pagina. Certo, potrebbero non esserci, ma non sono sicura che sarebbe più facile la vita.
Ecco, oggi la tua maestra ha capito che se riesce a farti capire quanto sono importanti la sete di bellezza, la voglia di cercare soluzioni invece che lamentarsi, la necessità di avere compassione e aiutarsi avrà fatto una cosa importante. Gli uomini primitivi la possono aiutare.
ciaociao