Un piccolo uomo

In mezzo a due guerre. Ecco dove lo vedo. Lui, la prima l’aveva vissuta, e se la chiamavano Grande i grandi, figuriamoci lui!
Occhi grandi e chiari, da sognatore. Mani ruvide da contadino. Cuore semplice e curioso.
Non so come fosse stata la sua vita, laggiù vicino al fiume, tra i campi. Fame: tanta, ma anche braccia forti per il lavoro, e sorriso aperto alla battuta. Poca scrittura, a scuola forse fermo all’ “a b c”. Desiderio di sapere: grande come un campo da mietere con la falce.
La guerra dicevo. La prima di quelle grandi, è un conto che fa paura, i numeri sono cose che non finiscono. La numero uno, come se prima ci fosse stato uno zero. Giovani uomini buttati sopra l’abisso.
Marciava con gli altri, non so dove, non so se di sera o quando. La febbre alta, tremava e marciava. Poi basta, il buio. Il racconto si ferma, come un cambio di rotta tra le correnti del cielo. Ad ali ferme, fermo in una cella.
Traditore era la parola, che in tempo di guerra vuol dire morte. Forse inconsapevole, forse più uomo di tanti, chiese da leggere.
“Divina commedia” c’era scritto sul libro, forse glielo avevano dato con un macabro senso dell’umorismo. Di fatto lui, mite, incominciò. Con gli occhi di un bambino ostinato, con gli occhi azzurri e grandi da sognatore, con le manone da contadino, il suo cuore iniziò l’incontro con un altro cuore.
Senza soggezione, nessuno gli aveva mai detto che quel poeta lo chiamavano “il sommo”, lui incontrava un altro uomo, un mondo così diverso eppure così uguale al suo. Alcuni versi li mandò anche a memoria, chissà perché. Forse temeva di non poter più sfogliare quelle pagine.
Ali spiegate, nuova rotta. Non so come mai ma ebbe la grazia. Non morì. Ancora guerra e poi il ritorno a casa.
Nessuna ferita, fuori. La sposa, i figli, uno dopo l’altro, sei. I campi, il lavoro e quel tarlo dentro al cuore. Cercava risposte nella bottiglia. Cuore di desiderio, occhi da sognatore non sempre riusciva a lavorare.
La moglie: donna ruvida e forte; braccia e cipiglio da capofamiglia, anche al posto di quell’uomo segnato.
Lui, mite, la temeva. Ma erano contadini, niente complicazioni: nella buona e nella cattiva sorte, sotto gli occhi di Dio.
E così, in mezzo a due guerre eccolo camminare la sera, contento teneva le manine delle figlie tra le sue, grandi. Camminare sull’argine del fiume; il cielo limpido pieno di stelle, mai così tante come nel suo cuore.
Perso di notte, disteso sul prato a leggere il firmamento aiutandosi col dito come un bambino sulla pagina difficile: “l’Orsa maggiore, il Carro, Pegaso, Orione”
E le storie, quelle dei libri, quelle del popolo, quelle del suo pensiero. Come al suo poeta amico, anche a lui piaceva la sera tornare “...a riveder le stelle”.
Era un mondo dove i sognatori non avevano molto posto, e lui, mite, ci restava, stretto.
Ora che le stelle le tocchi con le mani, ora che scrivi anche tu parole di cielo, ti vedo guardare quaggiù e seguire col dito, come un bambino, la linea contorta del mio sentiero, mi piace pensare che un po’ di te, del tuo sguardo e del tuo cuore buono possa essere arrivato anche a me, caro il mio nonno sognatore curioso.
ciao ciao

2 commenti:

Marco Castellani ha detto...

Che dolce e "sentito" questo profilo di un "piccolo" uomo... grazie ;-)

Marco

gloria ha detto...

è davvero il mio nonno sai?!
grazie a te
gloria