Il nonno pittore




C'era una volta un vecchio pittore malato. Un grande vecchio pittore malato. Per tutta la vita aveva raccontato la gioia nei colori. Con il suo pennello aveva fatto danzare la luce, le forme, la materia morbida e difficile della pittura.
Ma ora il pennello era così faticoso da reggere nelle mani!
L'aveva anche scambiato con forbici e carta, inventando farfalle e petali di colore per farci vibrare della sua stessa beatitudine.
Adesso era malato e stanco.
Lo assisteva una giovane infermiera. Timida, discreta.
Henry, così si chiamava il pittore, era rimasto colpito dalla finezza di questa ragazza e, con l'occhio dell'esperto, ne aveva anche apprezzato la delicatezza del viso, della figura, i movimenti, lo sguardo, il sorriso. Non che fosse particolarmente bella, ma cosa vuoi che sia per un vecchio pittore scovare la bellezza nascosta? Una prova in più, un divertimento, la sorpresa di saper ancora cogliere lo splendore della verità pur con l'occhio affaticato dal tempo.

Dal canto suo Monique considerava il vecchio pittore un amabile nonno,  e come ad un nonno riservava le sue cure, confidava preoccupazioni e desideri.

Nacque un'amicizia strana e gentile. Un genio anziano e cortese, una ragazza modesta, sveglia e discreta.
Il tempo passava e il vecchio pittore si riprese un poco. Non aveva più bisogno di Monique come infermiera, ma, con grande sorpresa della giovane che non si riteneva nè bella nè interessante, lui la volle accanto a sè come modella.

Henry non era più in grado di dipingere grandi tele, ma un artista sa cogliere le sfide, sa lottare con gli ostacoli e non contro di essi, sa rendersi amici i limiti. L'arte non è forza incontrollata, il tocco del genio si nutre di umiltà e sa che più è oscura la notte più la bellezza sarà luce nel buio.
Così le sue mani tracciavano segni sottili, svolazzi, linee eleganti per suggerire un volto, una movenza, un'espressione singolare, uno sguardo profondo. Poche risorse, grande profondità: il tocco del maestro in pochi tratti.

Il pittore stava bene con la sua giovane modella. L'aspettava, conversava con lei, ascoltava i suoi racconti, anche i silenzi, le insicurezze giovanili. Si compiaceva nel suo ruolo di saggio nonno, magari un po' brontolone, ma tanto, tanto affezionato alla sua amica.
Monique intanto sapeva che nella sua vita presto ci sarebbe stata una svolta. Però temeva il momento in cui avrebbe dovuto parlarne al suo caro nonno pittore.
Forse la sua scelta non sarebbe piaciuta a Henry, forse non avrebbe capito, lui così lontano da certe cose come conventi e messe e....suore. Sì, perchè Monique aveva deciso di entrare nel convento delle Domenicane di Vence. Avrebbe lasciato il mondo e si sarebbe chiusa tra quattro mura a pregare. Era convinta forse che non ci fosse cosa più lontana dalla mente del suo carissimo amico, ma un giorno prese il coraggio a due mani e glielo disse.
In effetti non fu facile per Henry capire come una giovane potesse trovare la felicità in una scelta del genere, ma fu come sempre gentile e comprensivo, davvero come un nonno che ama la sua cara nipotina.

Devi sapere che a Vence, nel convento delle Domenicane, dove sarebbe entrata Monique, da tempo pensavano di costruire una cappella. Ma come molte decisioni che devono essere prese in gruppo, e... in un gruppo di donne, non se ne veniva a capo.
Solo dopo che Monique ebbe preso i voti perpetui e dietro insistenza anche del suo amico pittore, ecco che parve sbloccarsi qualcosa.

Il pittore sapeva bene che quella sarebbe stata la sua ultima fatica, e forse per questo ci mise tutte le forze che gli rimasero, prima per convincere tutti della bontà del progetto e poi nell'esecuzione. Non volle lasciare incompiuto nulla: progettò i disegni degli ambienti, preparò le vetrate e le immagini che avrebbero decorato i muri della chiesetta, pensò addirittura a finanziare egli stesso l'opera. Fu la sua ultima sofferta, gioiosa, luminosa parola in questo mondo, fu la sua preghiera.
Lui, che non aveva mai avuto molta dimestichezza con gli altari, arrivò a disegnare anche i paramenti sacri e le vesti dei sacerdoti che sull'altare avrebbero rinnovato il sacrificio di Cristo.
E fu la festa della luce, l'eleganza del tratto, puro senza inutili postille e orpelli.
In un piccolo punto del mondo un artista poco incline alla devozione cantò la sua ultima canzone come una preghiera, e disse alla sua amica che 'no', non era vero che lui non credeva in Dio, ma che tutto il lavoro della propria vita era esattamente come il suo recitare le ore con le consorelle, una domanda  che attraverso i suoi colori e le sue tele potesse passare un soffio di tutta la gioiosa bellezza del divino.
Si chiamava Henry, Henry Matisse.

Nessun commento: