la cosa più difficile del mondo...

...è perdonare. Non solo è difficile ma è anche scandalosa.
E siccome a me piacciono le persone che danno scandalo... ne ho scovata una con i fiocchi!
Si chiama Eva Mozes Kor. Reduce da Auschwitz, scampata agli esperimenti genetici del famigerato dottor Mengele... che ti verrebbe voglia anche di non scrivere la maiuscola del cognome... Questa donna, sì, questa donna ha osato perdonare. Dico 'osato' perchè questo gesto le ha tirato addosso non poche accuse gratuite.

C'è da comprendere, anch'io oso giudicare, non in virtù di una esperienza di dolore, ma semplicemente perchè ho un cuore e una ragione da essere umano... c'è da comprendere le ragioni di tutti, certo... anche di chi dice no con tutte le sue forze, le ragioni della rabbia... ma và da sè il capire da che parte sta il vero eroismo, perchè è di questo che si tratta.

Ho visitato Auschwitz. In silenzio. E' un'esperienza che tutti, tutti dovrebbero fare, in silenzio. Appena entri ti si chiude la bocca dello stomaco e ti si secca la bocca... davvero non ho più parlato, fino ad alcune ore dopo esserne uscita.
Agghiacciante non è stato vedere le baracche di legno dove erano stipati esseri umani come fossero animali, terribile non è stato vedere la ricostruzione dei forni crematori.
Due cose di Auschwitz mi hanno messo ko: le montagne di spazzolini da denti, di valigie, di scarpe raccolte e accatastate in grandi stanze, e la cella dove è morto padre Massimiliano Kolbe.
Le prime mi hanno dato la tangibile misura della tragedia, dietro ogni piccolo spazzolino da denti c'era la vita piccola e immensa di una persona, di un essere umano infinitamente prezioso e unico.
La seconda, la cella piccola e scura, chiusa da un cancello ruvido e nero, non aveva un millimetro libero del pavimento, era coperto, letteralmente coperto di fiori freschi, sempre freschi, tutti i giorni.
Così, se prima ero dominata dalla rabbia, dopo aver visto quella cella le uniche parole che hanno attraversato la mia testa erano parole di preghiera. Quell'uomo, anche lui piccolo e immenso, ha reso possibile una cosa scandalosa ma necessaria, necessaria per la pace di tutti, necessaria perchè la vita non si attorcigli sulla vendetta, pur rimanendo legata alla indelebile memoria.
La pace non sta nel vendicarsi, nemmeno sta nella dimenticanza, la pace vera sta nel perdono. Davanti alla cella di padre Kolbe non puoi non pensare che l'uomo ha bisogno di riscatto, e non solo l'uomo vittima, ma anche l'assassino, il carnefice. Perchè se non cambia anche il carnefice, l'uomo non ha scampo.

E' scandaloso? Sì, è scandaloso. Ma prima di me, più grandi di me hanno usato parole che dovrebbero essere lette come al di là di ogni sospetto.
Queste le parole della signora Eva Mozes:

«Quando Münch (medico nazista) firmò un documento ufficiale che sfatava, una volta e per tutte, l’imperversante tesi negazionista, ebbi un’epifania. Il miglior regalo che potevo fargli per ringraziarlo era il perdono». Quella risoluzione la fa sentire tanto sollevata e felice che da lì a poco decide di estenderla a tutti i nazisti, Mengele incluso. «Improvvisamente capii di avere un tale potere, come individuo, da riuscire a perdonare persino il Dio di Auschwitz. Scoprire dentro di me questa forza mi ha guarito l’anima, affrancandomi dalle catene di una vita di vittimismo, impotenza e depressione. Per la prima volta mi sono sentita una donna completamente libera». La Kor insiste che il perdono non ha nulla a che fare con il carnefice: «Il tuo aguzzino - spiega - non deve avertelo chiesto, è una medicina che serve solo a guarire la vittima». Ciò nonostante, le sue tesi hanno creato un putiferio tra i sopravvissuti e gli studiosi dell’Olocausto, le cui voci sono ampiamente registrate nel documentario. «Sei una traditrice - l’accusa ad un certo punto Jona Laks, una delle gemelle torturate da Mengele -. Perdonare equivale a dimenticare». «Chi sei tu per arrogarti il diritto di parlare a nome di sei milioni di morti?», le chiede uno storico, dandole dell’«eretica, folle e pericolosa». «Questa - ribatte lei - è la mia amnistia personale. Parlo solo a nome mio, perché il perdono è un atto privato quanto la chemioterapia per un malato di cancro. Io non posso sottopormi al trattamento al posto di un altro. Ognuno deve farlo per sé». 


Corriere della Sera
18/05/2006

3 commenti:

Marco Castellani ha detto...

A me ha colpito tanto, oltre a questa storia, anche questa qui

http://tracce.it/default.aspid=266&id2=301&id_n=16874

mi ha colpito proprio per quello che dice il tuo post, ovvero per la "libertà" che scaturisce dal perdono...

Marco Castellani ha detto...

mi si è mangiato un ? .. il link è questo:

http://tracce.it/default.asp?id=266&id2=301&id_n=16874

gloria ha detto...

grazie Marco. Sì, conosco la storia e conoscevo l'intervista, tanto è vero che mentre scrivevo questo post ero indecisa se mettere qualche riferimento anche alla storia del carissimo signor Castagna. Vedi che ci hai pensato tu!?
Tante volte penso che dire perdono e dire miracolo sia la stessa identica precisa cosa, non trovi?