....anni fa (1)

‘Allora andiamo?’
‘Sì, andiamo dove? Dani, qui non si vede un accidenti... cribbio!’
Nebbia. Milano e la nebbia. Clichè.
Involucro lattiginoso e freddo, muoversi lì dentro è come aggirarsi nella materia indefinita dei pensieri confusi. Solo che la nebbia non è un pensiero, ci devi ficcare ben bene gli occhi, fino a che le pupille non ti fanno male, per non andare a sbattere con l’avanguardia della faccia addosso al primo ostacolo.
E non è che di sera la situazione sia più complicata... tanto non si vede niente lo stesso!
Macchina ferma, dove? Forse in mezzo alla strada, forse in un vicolo senza uscita, forse... perse.
‘Te l’avevo detto che non saremmo arrivate a capo di niente!’
‘Te l’avevo detto di non dirmi -te l’avevo detto-!’
Spirito ribelle la ragazza. Pochi anni, fresca di patente, presunzione di una giovinezza maleducata e curiosa. Voglia di spazi grandi e di chilometri... intrappolata in una città dai vapori freddi e ostinati.
‘E’ un muro, non ci vedo un tubo, siamo in ritardo, e tu cosa fai? Mi irriti invece di aiutarmi!’
‘E cosa posso fare? Il volante l’hai in mano tu!’
‘Potresti collaborare con l’umore no?!’
‘Aspetta che tiro giù il finestrino’
‘Guarda che roba! credevo fosse nebbia e invece sono solo i finestrini sporchi!’
‘Non fare la spiritosa, almeno sento i rumori’
‘Ci vorrebbe un sonar. Come quello dei sommergibili, sai?’
‘Se almeno ci fosse una cabina telefonica potremmo avvisare che stiamo arrivando’
La macchina non è proprio l’ultimo modello, una di quelle che quando i ragazzetti la vedono per strada: ‘...tua...’ e giù di gomitate. E poi il colore, quando si vede, non aiuta certo, forse non c’è neanche un nome per quella tinta, un misto di arancio e color mattone. Sì, consolante come primo grande acquisto della vita.
Ma questo è tutto quello che il suo sudore e il borsellino ha potuto permetterle. Ed è già tanto più di molti suoi amici che vanno ancora di gambe e tram.
‘Voglio andare via da questo posto, voglio un po’ di sole, voglio un po’ di caldo, voglio un po’ di colori!’
‘Si, adesso però dobbiamo almeno arrivare un po’ vicino a casa di Elena’
‘Ma guarda se uno deve perdersi a due metri da casa sua, conoscendo la strada a memoria!’
‘Dovevamo venire a piedi’
‘Si, e poi tornavi tu di notte da sola con la nebbia? Guarda che io almeno a quarant’anni ci voglio arrivare’
Quarant’anni, traguardo lontanissimo.
Amiche. Vent’anni, il primo lavoro, la prima macchina, un gruppetto, qualche sogno e due o tre desideri. Enormi. Cosa volere di più? Tutto.
E l’inquietudine dell’inseguimento, perchè quel tutto non ha faccia, non ha definizione, solo indizi e una voce, tormentosa, insistente, irritante a volte. E’ come viaggiare nella nebbia: sai che la strada c’è, sai che c’è la meta, ma non capisci dove caspita sei. Cribbio! Ci sono momenti in cui ti sembra di essere arrivata a destinazione:
‘Carino quello! Simpatico... magari...’
‘Sì, mi butto su questo esame e cambio il piano di studi... sarà il lavoro della mia vita’
‘No, no, l’università non me l’ha ordinata il dottore, lavorerò soltanto. Tanto, quasi nessuna delle altre studia più’
Incroci, sempre incroci, scelte da fare... da sola in fin dei conti.
Nebbia.
Appunto.
‘Ferma, ferma, e ferma un po’ sto catorcio!’
‘Ehi bella! Questo catorcio ti scorrazza sempre dove ti pare, perciò un po’ di rispetto per favore!’
‘Siamo arrivate’
‘E come fai a saperlo?’
‘Riconosco il lampione’
‘Ma sei esaurita o cosa? Milano è piena di lampioni così’
‘Si, ma non tutti hanno attaccato il tuo volantino ’
Cose normali per trovarsi qualche lavoretto. Volantini ‘a frangetta’... li chiama così perchè ha una immaginazione da parrucchiera: ‘studentessa di lingue impartisce ripetizioni di francese e russo, telefono...’ 
‘Sì, e aspetto ancora chi ha bisogno di ripetizioni di russo. Forse francese qualcuno lo studia ancora, ma chi è così pazzo da sognarsi il russo?’
‘Magari qualche compagno in vena di trasferta oltre cortina. Dai posteggia che forse riusciamo ad arrivare in tempo.’
‘Di compagni ne conosco tanti, ma nessuno che abbia ancora espresso questo desiderio.’
‘Di compagni ne conosci tanti, ma uno in particolare non lo vuoi proprio conoscere vero?’
‘Senti, piantala! Ti ho già detto che quello è irritante, irragionevole, sempre tra i piedi, non sta zitto un attimo, mi vuole convertire alla sua religione a falce e martello e poi gli piace l’ Hard Rock... l’unica musica che non sopporto!’
‘Troppi difetti!’
‘Ecco, giusto’
‘No, no, troppi difetti, pericolo!’
‘Cioè?’
‘E’ risaputo, ragazza mia, se hai bisogno di trovargli un difetto nuovo al giorno, vuol dire che sei in pericolo’
‘Non ho voglia di continuare questo discorso... qual è il portone adesso?’
Case popolari, dignitose, nate pochi anni prima di loro. Famiglie di operai e piccoli impiegati. Portoni tutti uguali. Qualcuno ha procurato di abbellire l’entrata con dei vasi di piante, finte, qualche quadretto un po’ scolorito... un po’ come le case dei signori, un po’ come casa propria. Ci tengono a fare la loro bella figura.
Ascensore.
‘Ehi, Anna, ricordi quando andavamo a fumare di nascosto e mettevamo i pacchetti qui sopra?’
‘Si nello spazio tra il soffitto e la lampada... fammi un po’ vedere se c’è ancora una sigaretta?’
‘Dai scema, non c'eri anche tu quella volta che poi il portinaio ci ha scoperte?’
‘E vuoi che non me lo ricordi, quante botte ho preso! Mi sa che se guardo bene ci ho ancora i lividi da qualche parte’
Papà non ci andava mai tanto per il sottile, istintivo e di mano pesante. Anna e la sua rabbia, feroce, cresciuta con gli anni, covata, coltivata con la paura di avere lo stesso germe nel dna.
‘Aspetta un attimo a suonare il campanello. Adesso entriamo e cosa le dico?’
‘E cosa vuoi dirle? L’abbracci e basta. In certi casi stare zitti non fa male.’

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