Incontro

Questa non è una storia per bambini, però è la storia di un grande bambino.

“Perché dentro una lacrima c’è tutto un mondo, ed io vorrei poterla raccogliere come si raccoglie una perla, con delicato timore custodirla. Perché anche solo una lacrima può bucare la scorza dura di questo albero che tu sei. Se almeno tu sapessi piangere una lacrima, una sola... sarebbe come la porta del tuo strano nascondiglio che piano si schiude.
Guarda. Basta solo che tu guardi, fuori sembra già primavera.
Ma tu non senti il profumo, non vedi.
Ostinato, ti nascondi contando le tue ferite. A che serve?”
Così pensava quello strano uomo, camminando verso la ferrovia.
Come tutti i giorni, all’alba, avrebbe preso il treno. D’inverno ombra nella nebbia.
D’estate profilo lungo sotto il sole già alto.
Andare, tornare. Giorni uguali riempiti solo dalle ore.
Qualche cosa bella c’era pur stata... ma...
Ed ora quel pensiero, che non sembrava neanche suo.
Avete mai parlato con voi stessi come si parla ad uno sconosciuto?
Gente che corre, semaforo verde. Una scrollata di spalle e via: “ma che pensieri sciocchi e sentimentali sono mai questi, di prima mattina!”
Ecco, la pala di terra che si butta sopra ad un tremito di vita.
“Chi si piange addosso non è un uomo” aveva trovato questa strana filosofia per  accontentarsi. C’era il lavoro, gli amici, pochi e scelti bene. C’era la passione per la fotografia: un uomo attivo, senza tormenti inutili. Quelli passati? Ho sotterrato la guerra.
Ma ritrovarsi la sera, da solo, davanti ad un fornello che non vuole accendersi... nessuna telefonata. Nessuno ti cerca oggi. I tuoi amici scelti...spesso scelgono qualcun altro.
E’ il momento terribile e dolce di quel ricordo, terribile era chiamarlo “dolce”.
“Basta”. Camomilla, a letto.
Una mattina come tante altre, freddo, nebbia, programmi per la giornata. Cose normali. Seduto di fianco al finestrino, le notizie in mano, distratto.
“Scusi, posso dare un’occhiata al giornale?”
Avrà avuto si e no vent’anni, pantaloni scuciti sulle ginocchia, libri buttati sul sedile di fianco ,sorriso, barba fatta male. - Non hai ancora imparato o adesso usa così? -
Lo sguardo si ferma su quella faccia da bambino che gioca a bastarsi, ritorna un pensiero, sempre quello... occorre scacciarlo.
“Che studi?”
“Università” già, roba da grandi eh!?
“Facoltà?”
“Medicina?”
Chiacchiere da compagni di viaggio, ma gli occhi di quel ragazzo hanno una luce strana, dà quasi fastidio.
Si scende alla stazione, si lavora, si risale. Sera.
Mattina: ancora lì, per caso. E poi ancora il giorno dopo, strana abitudine, strana conoscenza, strana amicizia: un uomo e le sue contorte strade, un ragazzo che vuol cambiare il mondo.
Per quanto sventolasse la sua stanca e arrabbiata filosofia davanti a quel ciuffo di capelli biondi, nulla sembrava capace  di fargli cambiare i sogni, rimpicciolire le domande, rispedirle al mittente.
Gli faceva rabbia a volte: “gioventù troppo sicura di sé, vedrai... la vita...” fine del pensiero ragionevole, produzione neppure comprata, solo presa in prestito.
Ma erano diventati amici, poi iniziò la lunga fila dei giorni assenti.
Lo cercava sul marciapiede, lo cercava sul treno. Non si era accorto che quell’incontro mattutino gli rendeva più facile il peso del giorno.
Poi eccolo, di nuovo al suo posto, più magro, più pallido, ma col solito umore, con quei soliti occhi.
E poi la spiegazione, improvvisa, brutta, detta con la più calma semplicità: malattia, grave. Vita? Non è mia.
Rabbia di vederlo così, rabbia di sapere già, rabbia di non avere spiegazioni, soluzioni, illusioni. C’era già passato, aveva detto “mai più legami, mai più...”, l’aveva detto, perché non dargli retta?
“E allora che farai? Perché ancora il treno, studiare, lavorare, lottare? Perché?”
Ma quel bambino già grande aveva troppa sete per poter smettere di bere così.
“Non c’è rassegnazione, c’è più voglia di vita, fosse l’ultimo istante... sarà comunque il mio: un regalo”
Si ricordò di un altro legame, più stretto, più nascosto,più in fondo. Lo stesso dolore, più grande. L’aveva imbavagliato, tramortito, seppellito. Ora tornava, accidenti, più forte, più vivo, vinceva ancora.
E quella sera la rabbia si specchiò in una lacrima, in una pozzanghera di lacrime dove un uomo finalmente si scioglieva nel grido più libero che c’è “Vieni, ho davvero bisogno di Te”.

4 commenti:

Sweet Italy ha detto...

Sono passata per caso, ma se hai scritto tutto tu, complimenti! Davvero interessante ed emozionante.

gloria ha detto...

bè si, ho scritto io, veramente non sapevo che sarebbero state cose...leggibili, evidentemente possono servire a qualcuno. Grazie moltissimo.

Sabrina ha detto...

Gloria, mi hai lasiata davvero col fiato sospeso, fino alla fine. Sai scrivere divinamente, c'è tensione, amore, ricordi, nostalgia, voglia di vivere, vita, vita di noi, vita di tutti i giorni, i nostri pensieri che da soli si raccontano... Vita, quella che ti fa piangere, che ti fa sorridere, che ti fa sentire parte del mondo, che ti fa sentire poi fuori dal mondo, che ti coglie di sorpresa e aspetta la rassegnazione. Solo la vita può dare la felicità e toglierla. Può darti tutto quello che non ti aspettavi.
Molto bella, me la stampo così da leggermela in treno. Di sera. In tranquillità. Ogni volta che sentirò la nostalgia della vita.

Brava. Davvero.
sabrina

gloria ha detto...

accidenti... che entusiasmo!! grazie di cuore, ma guarda che ci sono miliardi di errori formali... comunque l'importante è che ti piaccia. ciao!